Capitolo 9

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Evaline si tenne a distanza da lui, salvo rare eccezioni in cui, incrociandosi, gli rivolgeva sorrisi e qualche parola, convenevoli che all'uomo non davano il benché minimo fastidio, ma che si sforzò di scacciare in modo sbrigativo, troncando qualsiasi approccio. Quando la intravedeva da lontano, spesso con branchi di ragazzini attaccati alle gonnelle, Piton cambiava strada, distogliendo lo sguardo dai suoi capelli un attimo prima che lei si accorgesse della sua presenza.

Non fu questa la sua prova più ardua, però.

Gilderoy Lockhart.

Ovunque andasse se lo ritrovava ad un palmo di naso, tutto svolazzi e risate, intorno al quale si radunavano donne palesemente infatuate da chissà che incanto. Perfino Evaline, dannazione a lei. Erano in sala professori quando venne assalito dall'immagine di lui, sorridente nel suo completo color carta da zucchero, intento a blaterare le sue assurdità ad Evaline che, tutta occhi e sospiri, aveva riempito la stanza di farfalle.

«...e non ha mai dubitato, professor Lockhart?» Tesa, gli occhi puntati su di lui, l'aria di chi è pronto a coprirsi il volto dalla paura.

«Neanche un solo istante, giammai.» Distolse lo sguardo con teatralità, ma intanto le posava la mano in mezzo alle spalle, sui capelli semi sciolti. «...mia cara, se avessi dubitato non sarei qui a raccontarlo.» Poi soffiò una risata deliziata. «Chiamami Gilderoy, ti prego.»

Evaline arrossì tutta, dal petto alle orecchie, una risatina stonata ed esitante le scosse le spalle dove l'altro teneva ancora la mano. Non lo avrebbe mai creduto possibile, ma al mondo esisteva qualcuno che detestava quasi quanto Potter.

«Severus!» Cinguettò Lockhart, facendogli cenno con la mano di avvicinarsi. Avrebbe preferito andare in giro con una puffskin, piuttosto, ma Evaline gli aveva gettato un'occhiata speranzosa che parve ripagarlo dello spettacolo pietoso di poco prima. «Stavamo giusto parlando di duelli, la dolce Evaline e io.»

Disse qualcos'altro che Piton non assimilò, indurendosi sempre di più ad ogni parola che sgorgava dalla bocca del collega. Fissò truce Evaline, ricambiando il calore dei suoi occhi con una durezza tale da intimidirla. Lo guardava un po' perplessa, lui sbirciò nei suoi occhi e lesse chiaro il suo stordimento: "cosa ho fatto, questa volta?".

Si pentì di averla pungolata, ma tornò a punirla ignorandola di colpo, inspiegabilmente turbato e frustrato dalle attenzioni che aveva dato al bellimbusto accanto.

«...prima o dopo dovremmo tenere un club per gli studenti, non trovi?» finì con il dire Lockhart, ma fu liquidato dalla sua gelida indifferenza. Non riusciva a reggere il pensiero che Silente avesse preferito assumere questo mentecatto al suo posto. Non poteva perdonarglielo, esattamente come non avrebbe facilmente perdonato il chiocciare di Evaline. Se qualcuno avesse sentito l'eco dei suoi pensieri avrebbe riso di quel risentimento.

La sua unica speranza di arrivare alla fine del mese senza omicidi sulle spalle era la prospettiva di una vittoria a Quidditch. Firmò a Serpeverde più permessi possibili, in barba alle proteste di Minerva, affinché gli allenamenti rendessero Draco un cercatore migliore. Sperò che i pensieri che aveva scorto in Lucius avessero a che fare con le Firebolt regalate alla squadra e che non ci fossero altri grattacapi almeno per quell'anno.

Invece no.

Tutto cominciò con la scritta sul muro. Trovò gli studenti raggruppati intorno a MrsNorris e un Argus Filch disperato, pronto a scagliarsi su Potter che si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato. Per una volta fu d'accordo con chi lo credeva innocente, ma c'era qualcosa che non diceva. Ne parlò a Silente, una conversazione accesa che lo tenne nel suo studio fino a tarda notte. Non c'era verso di schiodare il vecchio da certe convinzioni, sarebbe stato più facile smuovere una montagna prendendola a cornate.

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