Capitolo 27

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Non si sarebbe mai ripresa del tutto dall'assenza di Augustus, cercandolo tra le lettere che Evangeline le consegnava insieme alla sua copia della Gazzetta del Profeta. La routine scolastica e la gravidanza furono occasione per focalizzarsi su qualcosa che ancora le dava gioia. Già a dicembre il suo pancione era evidente e a scuola le capitò di udire alcuni commenti sgradevoli da parte di alcuni studenti che si domandavano se il marmocchio avrebbe avuto la fortuna di somigliare alla madre o meno. Un tempo avrebbe preso a cuore quel commento, domandandosi cos'era che ci trovassero di sbagliato in Severus, restandoci male perché sembrava che nessuno riuscisse a comprendere quanto fosse meraviglioso. Caro Severus, il suo distacco era dovuto a qualcosa che lei non riusciva ad immaginare e ogni volta che tentava di muovere un passo verso di lui, ecco che tornava a ritrarsi. Non voleva, non poteva parlarle ed Evaline si trovò ad accettare quella sua posizione.

Nei momenti che condividevano, però, era accorto, a suo modo premuroso, arrivando a prevenire i suoi movimenti quasi temesse di vederla incespicare davanti a lui.

«Penso che dovresti restare a casa. Almeno fino al prossimo anno.» Era una questione su cui lui tornava spesso e lo fece ancora una volta in occasione di un evento organizzato da Lumacorno. Gli invitati gironzolavano per il salotto conversando tra loro, calici e canapè tra le mani, abiti da sera e musica di sottofondo. Marito e moglie erano in disparte, a ridosso della piccola balconata che dava sui giardini interni di Hogwarts.

«Dici sempre che questo è il posto più sicuro di tutti.» Si accostò a lui, cingendogli il braccio in un gesto che sapeva di abitudine e a cui lui non reagiva più irrigidendosi, bensì accettandolo con la naturalezza di chi, finalmente, si è abituato. Evaline fece scorrere le dita fino ai polsi, sfiorando i gemelli che gli aveva regalato molti anni prima, sorridendo tra sé e sé con una punta di nostalgia. «Amo stare ad Hogwarts insieme a te.» Gli confidò sollevando il profilo verso di lui, che ricambiò lo sguardo con ostentata rassegnazione. Lo vide ammorbidirsi e, per quanto appena percettibile, c'era un tenero tepore a scaldargli gli occhi.

«A volte commetto l'errore di pensare che obbedirai ad ogni mia richiesta.» Sospirò, uno sguardo alla ciocca che sfuggiva all'acconciatura tenuta ferma dal jobberknoll. «Sei cocciuta, invece.»

«Devo esserlo.» Strofinò il profilo contro la sua spalla, riuscendo a sorridergli subito dopo, colta da una felicità genuina che ormai la coglieva sempre più di rado. «Solo così riesco a rubare un po' di tempo per stare insieme.»

L'uomo fece scivolare lo sguardo su di lei, sull'abito che aveva scelto per la serata, sorridendo con una punta di ironia nel vedere seta e shahtoosh dello stesso verde della sua casata, abbinati a decolleté d'argento che, a guardarle, parevano gravare sulle sue caviglie gonfie. «Apprezzo i tuoi sforzi per omaggiare Serpeverde, mia cara.» Una mano sulle sue spalle, l'altra cercò le sue dita mentre prendeva a condurla verso l'interno del salone. «Vorrei che ti sedessi un po'. Staremo ancora per poco, per non offendere Horace, dopodiché ti accompagnerò a riposare.»

«Oh, ma aspettavo questa serata da giorni.» Protestò mollemente lei, eppure felice delle attenzioni ricevute. «Ho molta fame.»

«Come sempre.»

«Cosa vorresti insinuare?» Rise, ignorando le occhiate di alcuni studenti, lasciandosi condurre da lui fino ad un divanetto, dove sprofondò sotto il peso del pancione.

«Che hai un appetito considerevole, a volte difficile da soddisfare.» Le ultime parole le pronunciò al suo orecchio, cogliendo l'audacia di quell'allusione solo dopo pochi istanti, in cui il volto le si infiammò piacevolmente.

«Ci riesci sempre, in verità.»

Lui fece per rispondere, ma Lumacorno fece irruzione con la sua risatina compiaciuta. «Miei cari ragazzi, che benedizione siete. Vi state divertendo?»

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