Capitolo 35

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Non sapeva cos'era successo dalla morte di Theodore in poi, ma probabilmente si era comportata bene, perché aveva fatto ritorno a Villa Rosier camminando sulle sue gambe. Era notte fonda, scoprì che Severus era rimasto al suo fianco finché non furono entrambi al sicuro tra le mura della villa, protetta da così tanti incantesimi da consentire loro di abbassare la guardia, almeno lì. Sentì lo sguardo del marito su di sé, ma per quanto avesse desiderato rivederlo, adesso non riusciva a sollevare lo sguardo dalla punta dei propri stivaletti.

«Sta piangendo.»

Fu lui a riportarla alla realtà, richiamato da sottile lamento di Marigold, al sicuro nella stanza da letto. S'incamminò, liberandosi del mantello in un gesto meccanico, percorrendo le scale con la consapevolezza del marito a pochi passi da lei. Tulip svanì l'istante in cui varcarono la soglia, lasciando alla madre il compito di raccogliere la neonata dalla cesta di vimini e portarla con sé alla poltroncina dove, preso posto, con gesti sempre lenti e misurati aprì la camiciola e iniziò ad allattarla. Il tutto in silenzio, gli occhi puntati sul pavimento, incapace di dire qualsiasi cosa.

«Evaline.»

Il richiamo di Severus giungeva da un luogo lontano, a cui lei fece ritorno con estrema lentezza, ritrovandosi in una stanza dove mille falene blu svolazzavano e svanivano, per poi ricomparire in punti a caso. Le cacciò via scuotendo il capo, lo sguardo risalì la sagoma nera dell'uomo e, finalmente, trovò il suo volto sfigurato dal pallore, una magrezza malsana accentuata dalle ombre scure. «Non saresti dovuta venire.»

Non aveva altri mezzi per comunicare con lei, non in quel momento. Davanti al suo silenzio, lui riprese a parlare, la voce molto più sommessa e debole rispetto a quella mostrata davanti al Signore Oscuro. «Non-»

«Era questo, Severus?» Il bisbiglio squarciò quella sua obiezione, che non trovò più voce. «Quello da cui volevi tenermi lontana. Il motivo per cui per anni non mi hai permesso di starti vicino.»

Lui non disse niente, l'espressione raffreddata in una gelida contrizione.

«Pensavo fosse per Lily.» Disse il suo nome pur sapendo quanto dolore gli avrebbe inferto. Lo vide serrare la mandibola, ma restò ancora in silenzio. «Solo per Lily, intendo. Invece c'è anche questo.» Anche. «Vorrei che...non ti rimproverassi di nulla.» Si alzò, raddrizzò la bambina su una spalla, dove adagiò un panno. Ogni gesto era compito con estrema naturalezza, quasi fosse ormai parte di lei, del suo vivere quotidiano. L'uomo non si perse un dettaglio di quei movimenti, osservò il modo in cui teneva le mani, i colpetti sulla schiena, il volto sonnacchioso e appagato di Marigold. «Hai fatto di tutto per prepararmi. In queste settimane ho ripercorso tutte le volte in cui hai cercato di tenermi distante, di respingermi, dicendo pure più di quanto fosse nelle tue possibilità. Rischiando.» Il silenzio che seguì fu lungo, però. Dedicò quel momento alla bambina, al cambio del pannolino, all'unguento passato su di lei per scongiurare eventuali irritazioni. Lo sguardo di Severus seguiva avidamente ogni cosa, senza mai allontanarsi dalla soglia, quasi aspettasse un invito ad entrare. Evaline rimase immersa in quella gestualità che sapeva di rito, ritrovando Severus dopo aver cambiato la neonata e fatto indossare una tunichetta verde smeraldo.

«Ho solo...» La voce di Evaline s'incrinò, lo sguardo tuttavia rimase aggrappato a quello dell'uomo. «...ho solo bisogno di prendere atto di ogni cosa.» Le costava ammetterlo, fu doloroso parlare di quello che era successo. «Silente.» Pronunciò il suo nome e parve aver scagliato su entrambi un incantesimo, perché si raggelarono. Lui la guardò in attesa di un verdetto che non sarebbe arrivato, perché Evaline non ne fu né in grado né intenzionata. «Dimmi solo...fammi un cenno, solo un cenno.» Deglutì. «C'è un disegno dietro la sua morte? C'è qualcosa che un giorno comprenderò?»

Attese. Severus aveva occhi solo per la bambina o forse era un appiglio che gli permetteva di non crollare. Infine, lentamente, annuì una volta. Evaline si fece bastare quel cenno, un sospiro affranto spezzò il suo respiro. «Ho...ho bisogno di tempo per...realizzare tutto questo.»

Si avvicinò a lui, un passo alla volta, il viso chino e la bambina tra le braccia.

«Vuoi tenerla un po' in braccio?»

Finalmente, qualcosa lo scosse e lo portò a rompere quel silenzio estenuante. «Non ci riesco.»

«Vorrei che provassi.»

Cercarono uno lo sguardo dell'altra, dicendosi tutto quello che non riuscivano o non potevano dire. Non osò toccarla, non osò sollevare le braccia dai fianchi. «Non oggi, Eva. Ti prego.»

La bambina già dormiva, la mise nella sua culla di vimini ed entrambi la osservarono per un po'.

«Sarò preside di Hogwarts.» Le comunicò restando al suo fianco, il viso chino sulla bambina. «Alecto e Amicus Carrow ricopriranno il ruolo di insegnate di babbanologia e di Difesa.» Esitò. «Avanzerò la richiesta di sospendere la tua materia.»

«No.»

«Sono pericolosi, Eva.» Lui sembrava aspettarsi la sua resistenza, lo sguardo che le riservò era sofferente. «Brutali. Non voglio saperti lì con loro.»

«Mi stai chiedendo di lasciare gli studenti in balia di quei mostri? Sai che non lo accetterò.»

«Come farai con Marigold? Dovresti...»

«Porterò Tulip con me.» Si impuntò. «Gli appartamenti privati del preside di Hogwarts sono i più sicuri del castello.» Lasciar intendere che li avrebbe divisi con lui sembrò alleggerire il peso che l'uomo reggeva sulle spalle, ma non sembrava contento. Fu lei ad insistere, ancora. «Me lo devi.» Aggiunse, la voce più flebile. «Non ti sto chiedendo spiegazioni, non ti sto facendo rivivere la notte in cui Silente è morto.»

«Stai...» Si umettò le labbra, un sorriso triste vibrò sul volto dell'uomo. «...stai anche scegliendo accuratamente le parole giuste.» Dato che lei pareva non capire, lui continuò. «La notte in cui ho ucciso Silente.»

Sentirglielo dire la sconvolse più di quanto avrebbe voluto. Raccolse le sue mani, le strinse come lui aveva stretto la sua poche ore prima, quando Theodore venne assassinato sotto i suoi occhi. «Ti ho detto che non avrei mai lasciato il tuo fianco. Non lo farò.»

«Eva, non riesci a guardarmi negli occhi senza tremare, senza impallidire.» Non c'era rabbia in quello sfogo. Non c'era nulla. Sembrava arreso, stanco. «Io devo continuare quello che ho cominciato. Ci saranno...altre morti. Cercherò il più possibile di evitarlo, ma la guerra è ancora aperta.»

«Si concluderà con la caduta del Signore Oscuro?»

«Sì.»

La risolutezza che gli vide addosso bastò a dissipare ogni dubbio. Sorrise, provata, si mise sulle punte e toccò la sua fronte con la propria in un gesto che aveva compiuto tante volte in quegli anni. Rimase in quella posizione, il respiro più lento e regolare. «Ti accompagnerò fino alla fine.»

Fino alla fine.

L'alba stava per coglierlo quando si strinsero, stanchi, crollando in un sonno profondo, il primo dopo tanto tempo. Quando il sole era già alto, Evaline schiuse le palpebre e non trovò Severus nella stanza, ma sentì il calore del suo corpo ancora addosso. Erano rimasti stretti l'uno contro l'altra fino a pochi istanti prima, avvertiva ancora su di sé il tocco delle sue braccia e un bacio sulla fronte. Non si erano concessi che quello, nulla più.

Sguardo a Marigold, nella culla, dove la donna trovò la bambina sveglia e le braccia tese su un piccolo jobberknoll che saltellava da una estremità all'altra, scatenando sbuffi e sorrisi nella piccola che del male di cui avevano parlato i genitori non sapeva nulla.

«Tuo padre ti ama, Marigold.» Le disse sottovoce, al fianco della culla. «Sei tanto amata.»

Un sorriso materno, occhi che si sfamarono di quella vista nel vano tentativo di dimenticare l'ultimo istante di vita di Theodore Williams, l'uomo che un tempo le aveva chiesto di uscire. Tempi distanti, sempre più bui.

Come il presente.

EvalineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora