Capitolo 57: Butterfly effect

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«Rafe, tesoro metti via il libro.» Alec si aggirava per la stanza dell'ospedale che, ormai da due settimane, era diventata la casa di Magnus. Come fosse possibile che il suo uomo avesse seminato così tanti vestiti e oggetti in quella camera pur restando in camice per tutto il tempo era un vero e proprio mistero. Ma organizzava per caso delle sfilate la sera quando lui tornava a casa con i bimbi?

«Ma ora che so leggere lo voglio leggere io a papi. Me lo ha promesso che mi avrebbe ascoltato.» Piagnucolò Rafael che continuava a stringere il primo libro di Harry Potter in mano. Alec avrebbe voluto che il suo bimbo variasse un po' sulla lettura. Gli piaceva la storia del piccolo maghetto occhialuto ma ormai era un anno e mezzo che leggeva sempre e solo quella, cominciava a stancare.

«Glielo leggi a casa, amore. Dai, metti via il libro e aiutami a raccattare tutta la roba di papi che così torniamo a casa.»

«Ma papà!» Rafael cominciò a piagnucolare e a fare la faccia da cucciolo abbandonato facendo tremolare anche il labbro inferiore. Alec si portò una mano sulla tempia e sbuffò esasperato, poi rivolse il suo sguardo verso colui che era la causa della sua stanchezza e di tutto quel dannato disordine.

«C'era davvero bisogno di farti portare da tuo padre l'intero armadio e l'intera tappezzeria di camera nostra?»

«Fiorellino, volevi davvero farmi dormire in lenzuola di cotone?» Alec alzò gli occhi al cielo e riprese a prendere i vestiti di Magnus ignorando le proteste di quest'ultimo che gli diceva che li stava piegando nel modo sbagliato. Alec si limitava a fulminarlo con lo sguardo dicendogli che era già tanto che non li stesse appallottolando.

«Papà!» Alec si girò verso il piccolo Max seduto sul lettone con Magnus. Il ragazzo si avvicinò e gli arruffò affettuosamente i ricci. Max rideva sempre, era un bimbo così solare e quel sorriso riempiva di gioia Magnus e Alec perché quel bimbo aveva sofferto anche troppo per la sua giovanissima età.

«Fiorellino, il fatto che adesso dice più spesso papà non significa che preferisca più te. Ha detto prima papi e appena potrò infilarmi di nuovo una camicia aderente senza che queste bende mi sformino tutto, io pretendo quella cena fiorellino. Me la merito.» Alec ridacchiò. Ogni volta che Magnus gli faceva vedere i vestiti che voleva comprargli per la cena della sconfitta come l'aveva chiamata, il dirgli la verità gli prudeva sulla punta della lingua. In realtà l'aveva vinta lui la sfida e Magnus avrebbe dovuto andare a cena con Alec in tuta! Sarebbe stato epico. Ma Magnus era felice. Era vivo e felice e ad Alec bastava solo quello.

«Dai, Rafe. Aiutami a mettere via la roba di papi.» Rafael ovviamente borbottò ma era un bravo bambino e si mise a raccogliere tutte le cose sparpagliate di Magnus e a passarle ad Alec. In un'ora riuscì finalmente a recuperare tutto ed era stanco morto mentre quella canaglia di Magnus era fresco come una rosa che giocava con il piccolo Mirtillo impedendogli così di sgambettare ovunque.

«Dai, andiamo. Magnus vieni che ti aiuto a vestirti.» Alec si avvicinò al letto ma Magnus lo fissava con sguardo sospetto.

«Non metto la tuta fiorellino. Io uscirò da questo ospedale nei miei sgargianti vestiti.» Magnus incrociò le braccia al petto e sollevò altezzosamente il mento.

«Magnus, per favore! Ho passato letteralmente un'ora a raccogliere tutta la roba inutile che hai seminato. Hai le bende e la camicia di seta è troppo aderente e rischierei di strapparti i punti che non si sono ancora riassorbiti. Per favore, non fare storie.»

«Fiorellino, io qui ho una reputazione da mantenere.»

«Magnus! Ti hanno visto con un camice di carta che è aperto dietro sul sedere! La tua reputazione è crollata nel momento in cui ti hanno visto le mutande con gli unicorni! Ora fai il bravo e fatti mettere questa tuta o giuro che, quando sarai guarito, quella cosa che facciamo insieme te le puoi scordare per molto molto tempo!» Alec guardò minacciosamente Magnus e sapeva che la sua minaccia lo stava spaventando, lo poteva vedere dalla piccola gocciolina di sudore che scendeva lenta sulla sua fronte.

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