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Ron

Gliel'ho detto. Dopo anni, sono riuscito a tirare fuori questo peso che mi schiacciava l'anima. 

E lei aveva reagito come mi aspettavo: era scappata.

Mi sedetti sul divano e ripresi a piangere. Non l'avrei fermata, non ne avevo il diritto dopo quello che avevo fatto.

Sentivo dentro di me, però, che se stavamo iniziando a recuperare un rapporto, nell'arco di quell'ora probabilmente l'avevo persa per sempre. 

Decisi di calmarmi e di lasciarla calmare a sua volta. Probabilmente sarebbe andata da Luna, la sua amica, e sapevo che sarebbe stata in buone mani. I dolori non cessavano, e in quella situazione di stress continuavano ad aumentare di intensità.

Provai a salire fino in camera mia, anche se a fatica. Imboccai poi il corridoio e mi fermai davanti alla porta di camera sua. La mia mano afferrò la maniglia.

Sapevo bene che Mary avesse posizionato telecamere e microfoni nelle stanze che non fossero i bagni o il salotto e che avrebbe potuto vedere qualsiasi cosa anche a distanza, ma non m'importava. Abbassai la maniglia, ed entrai.

Chiusi dietro di me la porta e il mio sguardo andò sul pavimento. C'erano segni molto marcati per terra, probabilmente ogni volta che chiudeva la porta vi posizionava difronte quel mobile in legno alla mia destra.

Quale padre e quale madre farebbero sentire la figlia così in pericolo da attuare questo tipo di difesa?

Ricacciai indietro le lacrime e notai quanto la stanza fosse spoglia, quasi. Oltre al letto e alla scrivania, non c'era molto. Mi avvicinai cautamente a quest'ultima, notando una piccola pila di libri. Trovai i primi quattro libri di "Harry Potter" in una delle prime ristampe, e qualche libro di J. R. R. Tolkien. Subito sotto, trovai un libro in una lingua che evidentemente non era l'inglese. Gaelico, probabilmente. La mia bambina che si appassionava anche di quella lingua. Sorrisi leggermente. 

Mi cadde l'occhio su un foglietto di carta appallottolato. Non avevo il diritto di farmi gli affari suoi, ma notai delle piccole macchie marrone scuro su quella pallina di carta e mi preoccupai. 

Lo aprii. La scrittura era spessa ma tremante, quando lo scrisse doveva aver provato emozioni sicuramente spiacevoli, e vi erano le macchie marroni di prima. 

"Non ce la faccio più. Qualsiasi cosa io faccia, mi sento sbagliata, brutta, inutile. Ho voglia di sparire, di cancellarmi da questo mondo. Saranno tutti più felici, loro compresi. Intanto è quello che vogliono, no?"

Un brivido di paura mi percorse lungo la schiena, accartocciai nuovamente il biglietto, mi fiondai fuori dalla camera di Anna ed entrai nella mia chiudendo la porta dall'interno.

Respirai affannosamente. Quelle parole, quella sofferenza, quel dolore.. quelle macchie di sangue. Le lacrime ripresero a scorrere sul mio viso. Era suo quel sangue? 

Anna si faceva del male.. per colpa nostra? Per colpa mia?

*

Passò qualche ora e decisi di scrivere un messaggio ad Anna. Ero preoccupato. Si stava facendo tardi e non era ancora tornata.

Io: Ehi.. so benissimo che in questo momento non vorrai parlare con me, e hai il pieno diritto di farlo, ma volevo solo sapere se stessi bene e dove ti trovassi. E' da due ore che te ne sei andata, e mi ero preoccupato. Mi dispiace così tanto.. quando tornerai, ti parlerò di un'altra cosa che devi sapere. Ripeto, mi dispiace.. ciao.

Anna: Ciao. Scusa se non ti ho fatto più sapere niente, data la situazione non ho proprio pensato a prendere in mano il cellulare.. spero tu capisca. Ora sono a casa di alcuni amici.

Sapere che non fosse sola, mi tranquillizzò. Gli risposi poco dopo.

Io: Ottimo.. sentiti libera di stare fuori questi due giorni. Lei tornerà domani mattina, ma non farà domande su di te. Poi quando tornerai.. dobbiamo parlare.

Anna: Ok.

La sua risposta fredda la compresi, ma sentii il mio cuore spezzarsi ancora. Avevo rovinato tutto, ma meritava di sapere.

Io: Mi dispiace così tanto..

Anna: Ne parliamo quando torno. Scusa il mio tono, ma sono a pezzi.

Io: Certo, lo capisco.. fammi la cortesia solo di scrivermi "buongiorno" e "buonanotte", così saprò che starai bene.

Anna: Si, lo farò. Ora devo andare. Buonanotte.

Io: Buonanotte, Anna..

Spensi il cellulare e una fitta in quel momento mi fece piegare dal dolore. 

Te lo meriti, bastardo che non sei altro.

- Cristo.. - imprecai tra i denti dal dolore.

Uscii nuovamente dalla stanza per dirigermi verso le scale. Al piano terra avevamo dei medicinali e degli antidolorifici. Dovevo subito prenderne uno. 

Arrivai infondo alle scale ed entrai in salotto.

- Mi chiedevo quando saresti sceso. - 

Mery.

M'irrigidii e mi voltai cautamente, ancora coi dolori in corso.

- Sei tornata. - 

- Cosa c'è, non posso voler tornare a casa per stare con la mia famiglia? - mi chiese con tono ironico, mentre con un sorriso inquietante si avvicinava verso di me. Non risposi.

- La puttanella dov'è? - mi chiese.

- Non lo so - mentii, con tono freddo. Non volevo dirle dove fosse e cosa ci fossimo scritti. Non doveva avvicinarsi ad Anna. 

Mery sbuffò, quasi sconsolata.

- Beh, peccato. Vorrà dire che mi divertirò solo con te, allora. - 

Continuò ad avvicinarsi a me, e continuai a sentire sempre più aghi che mi pungevano all'addome. Senza volerlo, una leggera smorfia di dolore si materializzò sul mio viso.

Lei si fermò e mi guardò.

- Stai male? - mi chiese. Non risposi. 

Si diresse verso il divano, dove mi accorsi che avesse posato una delle sue borse. Ma non era una borsa qualunque. Era quella borsa.

La prese tra le mani e iniziò nuovamente ad avvicinarsi a me.

- Lo sai che qua dentro ci sono tutte le soluzioni a qualsiasi tipo di dolore - sussurrò.

Stai male. Ti servono.

- Starai meglio, vedrai - continuò lei, mentre tirava fuori dalla borsa due bustine trasparenti con delle sostanze che conoscevo molto bene.

Ron, dai, stai male. Lo sai anche tu che è insopportabile tutto questo.

- Lo so che la vuoi, non prendiamoci in giro - disse, con ancora quel suo sorriso inquietante.

Una volta, e basta. Starai meglio. Un aiuto non può farti male.

E alla fine, cedetti. 

Afferrai quelle cazzo di bustine, con lei che sorrideva ancora, ed entrambi iniziammo a fare uso di quelle droghe e io assunsi anche alcune gocce di psicofarmaci. 

Non capii più nulla.

Ricordo solo immagini sfocate di lei che iniziò a picchiarmi e di me in camera mia che chiamavo Anna. Poi io, che tra le lacrime, iniziai a sbattere la mia testa contro il muro, più e più volte.

E infine, il buio e il silenzio.




Ciò che gli occhi non vedonoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora