Il viaggio verso casa fu prevalentemente silenzioso.
Austen stava rispettando il mio silenzio, aveva capito quanto fossi ansiosa.
Ne avremmo sicuramente parlato a casa.
Una volta arrivati, parcheggiammo l'auto in garage e ci dirigemmo alla porta di casa.
Il cagnolone ci aveva accolti facendoci un sacco di feste e ricambiai il suo benvenuto con tante coccole. Salutammo i genitori di Austen, e quel senso di colpa verso di loro riprese a farsi strada in me. Avrei parlato con Austen più avanti di questo, non volevo accumulare discorsi. Ne avrei anche parlato nuovamente con il professor George durante il prossimo incontro.
Salimmo in camera di Austen e iniziai a raccontargli con calma cosa fosse successo.
Mi strinse teneramente tra le sue braccia.
- Vuoi che ti lasci un momento da sola? Così lo leggi con più calma? - mi chiese.
Annuii.
- Va bene. Io sono di sotto con i miei genitori, se hai bisogno mi trovi lì. Va bene? - chiese ancora mentre mi guardava negli occhi e mi rivolgeva un sorriso rassicurante. Gli sorrisi leggermente, incantata come sempre da quel bellissimo sorriso e da quegli occhi meravigliosi, e posai le mie labbra sulle sue. Ci scambiammo dei baci teneri, casti, per poi scambiarcene anche qualcuno più passionale, mentre mi stringeva sempre di più a se. Gli passai una mano tra i capelli. Mi sentii arrossire in viso e mi staccai piano piano da quei baci per guardarlo in viso. Anche lui era leggermente più rosa in volto. Mi sorrise e ci scambiammo un altro paio di baci.
- Meglio che vada, se no probabilmente potremmo continuare per un bel po' - mi disse con una leggera risata alla fine, poggiando la sua fronte alla mia.
- Hai ragione, ahah.. anche se mi stava piacendo - confessai, con un leggero sguardo malizioso. Ed era vero. Amavo quando ci scambiavamo questo tipo di contatti, creava una connessione speciale tra di noi. E soprattutto, amavo lui e il suo modo di mettermi a mio agio in ogni situazione.
Scoppiammo in una leggera risata e, dopo avermi scoccato un leggero bacio sulla fronte, Austen lasciò la stanza.
Ora ero sola.
Una leggera scossa di brividi mi percorse il corpo.
Possibile che un nome potesse mettermi così tanta paura addosso?
Sospirai e mi sedetti sul bordo del letto. Estrassi lo scontrino che avevo messo nelle tasche dei miei pantaloni per non perderlo, e iniziai a girarmelo tra le dita.
Secondo mio padre lo conoscevo da vicino, e questa cosa aveva iniziato a spaventarmi.
Significava che conoscessi quest'uomo, e che lo vedessi praticamente con regolarità.
Ciò mi fece rabbrividire di nuovo dalla paura.
Forza, Anna, o adesso o mai più.
Aprii il bigliettino con le mani tremanti e chiusi gli occhi.
Tre..
La paura aumentò.
Due..
Volevo davvero sapere il nome di quest'uomo? Ma che domande, era ovvio che lo volessi sapere.. ma cosa sarebbe cambiato da adesso in avanti?
Uno..
Aprii gli occhi e mi bloccai quando lessi il nome e il cognome dell'uomo che aveva contribuito alla mia nascita in questo mondo. Un mare di mozioni si mosse in me come un uragano.
Non riuscii a crederci. Eravamo sempre stati nello stesso ambiente. Nello stesso posto.
Non poteva essere vero. Il biglietto mi cadde dalle mani sul pavimento, e le lacrime iniziarono a farsi strada sul mio viso.
- Merda.. non è vero, non è vero.. - singhiozzai.
Mi portai le mani sul viso e iniziai a piangere disperatamente in modo però che di sotto non mi sentisse nessuno.
Presi nuovamente con le lacrime agli occhi quel bigliettino tra le mani. Magari avevo letto male.
E invece no, avevo letto benissimo.
"Thomas Milligan".
Thomas Milligan, era l'uomo al quale era stato detto a soli diciannove anni che sua figlia fosse morta dopo il parto.
Thomas Milligan.. era mio padre. E io, non riuscivo a crederci.
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Ciò che gli occhi non vedono
Novela JuvenilLondra, 2017. Anna ha 17 anni e nella sua vita ne ha passate veramente tante. Proveniente da una famiglia dove suo padre e sua madre infliggono violenze su di lei ogni volta che ne hanno la minima possibilità, inizia a sviluppare una corazza che la...