50

40 1 0
                                    

Iniziai a camminare avanti e indietro per la stanza con ancora le lacrime agli occhi.

Quel nome e quel cognome continuavano a riecheggiare nella mia mente.

Non era possibile.

Era uno scherzo?

Non era divertente.

Il mio professore di filosofia era mio padre.

Iniziai a collegare i puntini: tutti quei sogni che facevo, adesso avevano completamente senso.

Sono stata a casa sua più di una volta, ho anche visto quella che in realtà era mia madre, ovvero sua moglie. Ha insegnato nella mia stessa classe per tutti questi anni. La sua sensibilità nei miei confronti, il modo che aveva di guardarmi e di trattarmi, quasi come se fossi.. sua figlia.

Quella coppia giovane che aveva scoperto di aspettare un bambino, l'ospedale.. tutto era collegato. Anche i nostri modi di fare, di parlare, le nostre espressioni, il nostro modo di disegnare e di scrivere così simili, quasi uguali..

E io non ci ero minimamente arrivata. Come avrei potuto?

Sarei dovuta essere felice per aver finalmente scoperto il nome del mio vero padre e di aver di conseguenza scoperto anche quello della mia vera madre.

Eppure dentro di me sentivo di morire. 

Quell'uomo e quella donna avevano sofferto per anni sapendo che la loro unica bambina fosse morta, e Milligan aveva anche tentato il suicidio.

Come avrei potuto dirgli che in realtà la loro figlia ero io? Non potevo parlargliene immediatamente, e avevo notato quanto fosse provato oggi quando era entrato nell'ufficio del fratello.. che sarebbe stato di conseguenza mio zio.

E se avesse tentato nuovamente di farsi del male? O addirittura.. di uccidersi?

"E' successo di nuovo."

Non volevo pensarci.

Arrestai quella camminata, e presi la testa tra le mani.

Anna, calmati, ti prego.

Avevo bisogno di Austen. Decisi di scendere le scale e di andarlo a chiamare. Magari avrebbe potuto consigliarmi sul cosa fare.

Non badai molto alle mie condizioni, decisi solo di asciugarmi le lacrime e di scendere in salotto.

Quando arrivai alla fine delle scale, asciugai nuovamente le lacrime che stavano rifacendo capolino sul mio viso e titubante mi avvicinai ad Austen. Era seduto sul divano in salotto e stava parlando con suo padre. Non capivo di cosa, però probabilmente era qualcosa riguardante la scuola.

Si accorse subito di me e mi sorrise, ma poi la sua espressione cambiò dopo aver guardato bene il mio viso.

Non riuscivo a parlare, quindi mi sforzai di essere tranquilla.

Mi guardò come per chiedermi se dovesse venire con me di sopra, e io annuii.

Salutammo suo padre dopo che Austen lo rassicurò del fatto che tutto andasse bene, e salimmo al piano di sopra.

Una volta che chiudemmo la porta della stanza, lo abbracciai e ricominciai a piangere. 

- Ehi, sono qui, sono qui - mi sussurrò per calmarmi, mentre mi avvolgeva in un abbraccio.

Provai a recuperare il respiro. Non volevo farmi vedere in un brutto stato da lui, dovevo calmarmi.

- Ecco, brava.. respira - disse ancora, accarezzandomi la schiena. Mi aggrappai a lui, come se fosse la mia unica ancora di salvezza in tutto quel marasma di pensieri.

Ciò che gli occhi non vedonoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora