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La porta d'ingresso sbattè alle mie spalle e mi avviai verso la fine del vialetto. Dire che uscii non è propriamente corretto, stavo quasi correndo. 

Ti abbiamo strappata via dalla tua vera famiglia, Anna. I tuoi genitori non ti hanno abbandonata.

Ero distrutta, sconvolta, arrabbiata. Quando mi parlò dell'adozione, pensai che i miei genitori naturali non mi avessero voluta, e che di conseguenza io fossi finita casualmente in quella brutta realtà. Non avrei mai immaginato che avessero potuto fare una cosa del genere, non potevo crederci. Dovevo calmarmi. Dovevo cambiare aria per qualche ora. Non potevo stare in quella casa. Avevo gli occhi colmi di lacrime che però mi ostinavo a trattenere. Piangere per strada non sarebbe stata una decisione giusta, dato che avevo avvistato altre persone sarei magari saltata all'occhio e qualcuno avrebbe potuto chiedere come stessi, di conseguenza cercai con tutte le mie forze di trattenermi. Ero uscita di casa soltanto con il cellulare, non avevo preso altro. 

Lui non mi aveva fermata, mi aveva lasciata uscire senza dire una parola. Sentii però che stesse piangendo mentre mi allontanavo, probabilmente aveva capito cosa avesse scatenato quella notizia. In me scompiglio, rabbia e delusione, in lui aveva lasciato un vuoto.

Non volevo andarmene per sempre, ma dopo quella rivelazione avevo bisogno di un'aria diversa. Presi il telefono dalla tasca dei pantaloni e iniziai a digitare un numero sulla tastiera.

Dovevo andarmene da lì. Almeno per una notte.

*

- Ecco, una camomilla con il limone. - 

Alzai lo sguardo.

Austen si avvicinò con la tazza bollente in mano vicino al letto, dov'ero seduta io con le gambe portate al petto. 

Era a lui che avevo telefonato. Aveva risposto dopo i primi due squilli, e nonostante non si fosse ripreso del tutto aveva insistito per venire a prendermi in macchina. Gli avevo detto di no e magari di mandare i suoi a prendermi, o che sarei venuta da sola, ma non voleva sentire ragioni e si è precipitato subito. 

Quando arrivò, capì che non stessi bene e non mi aveva fatto domande; aspettò che entrassi nell'abitacolo e ci scambiammo un abbraccio affettuoso. Era sempre così premuroso.. avevo paura che si sarebbe stufato di me, prima o poi. Avevo solo problemi. Solo, e soltanto, problemi.

Come poteva starmi vicino nonostante io non mi spiegassi fino in fondo?

Una volta arrivati a casa, capii che i suoi genitori non fossero in casa. Billy ci aveva accolto scodinzolando e lui mi aveva detto di salire in camera sua e che mi avrebbe preparato qualcosa di caldo, senza che io gli avessi chiesto nulla.

E' gentile perchè ti vuole bene, mettitelo in testa.

Afferrai timidamente la tazza e fissai il limone che galleggiava da una parte all'altra.

Sentii lui che si avviava verso la porta per chiuderla, per poi sedersi accanto a me. Restammo in silenzio per un paio di secondi, io con la tazza ancora in mano. Non riuscivo a sorseggiare la camomilla, mi si erano sigillate le labbra. E, come non riuscivo a bere, non riuscivo a spiccicare parola. Mi sentivo così stupida. 

- Non voglio chiederti cos'è successo, perchè sembri molto scossa e penso che tu abbia bisogno di tempo per riprenderti, ma.. fammi capire solo se si tratta di qualcosa di grave o meno - disse Austen timidamente, rompendo il silenzio. 

Ancora una volta, pensai a quanto fosse premuroso e comprensivo nei miei confronti. Non mi meritavo tutta questa gentilezza, io non mi sono mai dimostrata così aperta, gli ho sempre tenuto nascosto il lato di me che riguardasse casa mia. E non potevo parlargli dell'adozione illegale. I miei veri genitori erano ancora da qualche parte, ed ero stata sottratta loro con probabilmente l'inganno. I sogni avevano finalmente avuto un senso. Quelli nel sogno più recente dovevano essere i miei genitori di adesso, e avevo sognato l'intero processo. Solo a pensarci, mi si rivoltò lo stomaco. 

Ciò che gli occhi non vedonoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora