In tre anni a Rilgasten non aveva mai sognato casa. Rea non si era mai concessa di pensare al suo regno, Ariestria, ai campi verdeggianti di Crya e alle sue magiche scogliere. Era lì che era cresciuta, nel verde che si scontrava con il blu del mare, dove le onde giocavano con gli scogli e li abbracciavano portando con sé schizzi d'acqua salata. Il vento, l'aria salmastra, il canto dei gabbiani e il faro bianco da cui seguiva il percorso delle navi verso Belval, la capitale. Il ricordo di Crya le stringeva sempre il cuore. A volte, Rea desiderava non aver mai lasciato il suo villaggio, il suo faro; andare a Belval era stato un errore.
Venne svegliata da una secchiata d'acqua fredda. Rea annaspò, strizzando gli occhi, e l'immagine di casa svanì insieme alla voce di Jadien, che la chiamava e la pregava di non partire, di non lasciarlo. Non l'aveva neanche abbracciato, il più grande rimpianto della sua vita. Rea non riuscì a mettere a fuoco, ma colse delle figure sfocate che torreggiavano su di lei. Aveva del ferro ai polsi, realizzò.
«Come ti chiami, ragazza?»
Non rispose. La gola le raschiava per la sete e lo stomaco le brontolava per la fame. Era completamente a pezzi, però sentiva di nuovo la magia scorrerle nelle vene. Un'altra secchiata. Rea sputò acqua, i capelli ramati fradici davanti agli occhi. Ringhiò in modo animale e l'uomo davanti a lei arretrò. Dall'odore di paura mista a prepotenza, doveva essere un senzamagia. Sarebbe stato facile sfuggirgli se si fosse trovata in forze, se il suo corpo non si fosse ribellato alla mutazione. Era quello il problema dell'essere una mutaforma: il corpo dipendeva dalla magia e la magia dal corpo, la forza dell'una era la forza dell'altro. In quelle condizioni avrebbe potuto trasformarsi al massimo in un topo o in un animale talmente piccolo che trasportare il medaglione sarebbe risultato impossibile. Si paralizzò. Il medaglione era al collo dell'uomo. Quel maledetto figlio di...
«Chiudetela nel carro» ordinò l'umano «Ormai si è svegliata, farà compagnia all'altro prigioniero»
Rea nemmeno lo guardò in faccia mentre gli altri uomini la gettavano nel carro, gli occhi puntati ancora sul gioiello. Doveva riprenderselo per poter proseguire verso Ariestria, non aveva scelta. Prima però doveva capire dove diamine fosse finita, quanto tempo fosse passato e cosa fosse successo. Appena il portone venne richiuso, la chiave che girava nel lucchetto, Rea balzò in piedi, affacciandosi alla finestrella sbarrata.
«Vaffanculo» sbraitò. «Althran maledetto»
Per quanti giorni era rimasta incosciente? Gli dei dovevano divertirsi parecchio nel vederla di nuovo nel territorio di Rilgasten, in un carro prigionieri che costeggiava la foresta di Wychfirs. Rea chiuse gli occhi, prendendo un bel respiro e mutando solo le orecchie per risparmiare energia. Poco lontano sentiva il fiume Stosa, la corrente che spingeva quelle che dovevano essere piccole imbarcazioni. Erano vicino a un centro abitato, ma quale? Tentò di concentrarsi, allontanando i suoni dell'accampamento in cui si trovava e ascoltando solo quelli del villaggio.
«Siamo a Lorth, mutaforma»
A nord-est allora, ancora abbastanza vicini al confine. Rea sospirò scocciata. «Non mi pare di avertelo chiesto, drago»
Lanciò un'occhiataccia in direzione del prigioniero che aveva appositamente ignorato fino a quel momento. Il drago alzò gli occhi al cielo. Erano color ambra, contornati da un rosso vivo, e la fissavano come se volessero divorarla. Rea gli fece il dito medio e lui alzò il sopracciglio, nero come la massa di capelli spettinati. Era ammanettato alla parete, polsi e caviglie stretti da catene di ossidiana, la pietra antimagia, e il petto nudo era sporco di terra e sangue, gocce di sudore che scivolavano sui muscoli da guerriero. Rea fu tentata di chiedergli dove fossero finite le sue ali, ma si trattenne.
«Non vedevo un mutaforma da secoli. Vi credevo sterminati»
Un brivido le attraversò la schiena. «Potrei dire lo stesso di voi» sbottò «Non vi nascondevate sui Monti Athos quando i regni ci ammazzavano?»
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The Songs Of The Twin Flame
FantasyRea e Failla non si conoscono, eppure le loro vite sono intrecciate l'una all'altra indissolubilmente. Come legate da un filo invisibile, si rincorrono infatti senza saperlo, pedine nelle mani silenziose degli dei, che sembrano aver deciso per loro...