Odiava quel posto. Odiava le tende nere del letto a baldacchino, le poltrone imbottite, lo specchio rettangolare e persino la libreria, i volumi dalle pagine ingiallite e dalle copertine ruvide al tatto. Per non parlare dei vestiti che indossava da settimane, talmente semplici da farla sentire Nessuno, anch'essi rigorosamente neri. Nero, nero, nero. Gwendoline era stufa di tutto quel nero. Si affacciò alla finestra sbarrata, storcendo il naso alla vista delle fioche luci di Thornfell. Era la città più grigia in cui fosse mai stata, le case strette e ammassate l'una sull'altra che la facevano soffocare solo a guardarle. Anche quelle erano state costruite con mattoni scurissimi, lo stesso materiale con cui il castello era stato edificato, i tetti così a punta da sembrare cuspidi di frecce mortali.
Gwendoline sospirò scocciata, osservando il volo smarrito di un'aquila, giunta per un crudele scherzo degli dei fin lì. Thornfell sorgeva su montagne di cui il nome era stato dimenticato ed era collegata da ponti di roccia che attraversavano la nebbia, tanto scura e densa che il sole non raggiungeva mai la città. Si affacciò un po' di più, chiedendosi cosa ci fosse nel vuoto che divideva il castello da Thornfell. Morte, si rispose, o il nulla più totale. Gwendoline fischiò, cercando di attirare la sua attenzione, ma l'aquila virò, volando verso il cielo e sparendo nella nebbia.
Si allontanò, maledicendo la mutaforma per aver spinto Althran a sbarrare ogni singola finestra. Doveva essere un tipo paranoico il re, o abbastanza sveglio da imparare dai propri errori. Gwendoline roteò gli occhi, scostandosi un boccolo biondo dal viso. Althran l'aveva segregata in quella stanza, ignorandola completamente; dal suo punto di vista poteva pure marcire tra le stelle. Era stanca di lui, della nebbia di Thornfell e persino degli dei. Bussò alla porta, chiusa dall'esterno per impedirle di uscire. Come al solito, nessuno rispose. I segugi si limitavano a portarle i pasti e a chiederle di tanto in tanto come stesse; puntualmente lei augurava loro di bruciare tra le fiamme di Irés.
Gwendoline sospirò seccata, bussando di nuovo. Avrebbe sfondato quella maledetta porta se nessuno l'avesse aperta nel giro di qualche minuto, anzi, secondo. Aveva accettato da anni il suo destino, ma di venir trattata in quel modo, come se non fosse più Gwendoline Ashammer, la principessa di Ellult, ma una nullità, qualcuno di cui il nome era destinato ad essere dimenticato, non l'avrebbe mai digerito. Era una reale, una fata immortale, e in quanto tale meritava rispetto. Da Althran, da ogni regno, dagli dei che l'avevano creata. Loro e il destino, per lei, potevano andare a farsi fottere.
«Aprite, questo è un ordine!» sbottò. Le faceva male la mano ormai.
Una chiave venne inserita nella toppa. Girò un paio di volte, poi la porta finalmente si aprì. Gwendoline squadrò dall'alto verso il basso il segugio, nonché il suo carceriere. Gli dedicò un sorriso infastidito, prima di superarlo. Non si sorprese quando il segugio le sbarrò la strada, guardandola truce con quei suoi inquietanti occhi onice.
Fece per dire qualcosa, ma lei lo anticipò. «La risposta è no» si scostò i capelli dalla spalla, tenendo il mento alto e sbattendo le ali per enfatizzare il tutto «Non tornerò in quella stanza. Voglio vedere Althran. Adesso.»
«Il re non ha dato ordini di questo genere» rispose il segugio, assottigliando lo sguardo.
Gwendoline fece lo stesso, poggiando le mani sui fianchi. «Lui non è il mio re» sorrise di nuovo, trattenendosi dal tapparsi il naso per l'alito tremendo di quella bestia orripilante. «E in quanto reale, esigo di essere ricevuta.»
«Guarda caso, la risposta è no» ghignò il segugio, spingendola di nuovo nella camera. «Deciderà il re quando riceverti, fata. Fino ad allora, starai qui e farai la brava»
La porta si richiuse con un tonfo. Gwendoline liberò la magia, scagliandola contro di essa, ma nessuna pianta la sradicò, nessuna radice perforò il terreno e la distrusse. Thornfell era morta. Non c'era vita a cui potesse attingere, laggiù. Non trattenne un grido di stizza, lasciandosi ricadere sul letto. Una fata senza magia, una principessa senza corona, un oracolo con sulle ali il peso del proprio futuro e quello di ogni creatura magica dell'Eteria. Questo era Gwendoline Ashammer. E non era nulla di ciò che lei volesse essere.
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The Songs Of The Twin Flame
FantasyRea e Failla non si conoscono, eppure le loro vite sono intrecciate l'una all'altra indissolubilmente. Come legate da un filo invisibile, si rincorrono infatti senza saperlo, pedine nelle mani silenziose degli dei, che sembrano aver deciso per loro...