Capitolo 40

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«Stai fermo!» lo rimproverò Failla all'ennesimo battito di ali.

Jadien arrossì fino alla punta delle orecchie. «Non è colpa mia» borbottò, guardando fuori dalla finestra.

Failla lo sapeva, ma in quel momento era troppo concentrata sulla sua pelle per stare attenta ai movimenti involontari delle ali. Jadien doveva solo cercare di rimanere il più fermo possibile. La macchia che si trovava dietro la spalla, dove la pelle era leggermente raggrinzita, aveva subito catturato la sua attenzione. Le fate non avevano imperfezioni, tantomeno nei o macchie; per quanto piccola, quella non passava di certo inosservata. Failla si avvicinò un po' di più, incuriosita. Forse non doveva importale, eppure aveva come la sensazione che si trattasse di un dettaglio importante. La sua mente stava dimenticando qualcos'altro?

«Posso studiarla?» domandò, serissima.

Jadien aggrottò le folte sopracciglia. Doveva sembrarle una pazza, pensò Failla. «Sì, certo» rispose invece, facendola arrossire per la sorpresa. Si era già dimenticata che lei e Jadien condividessero un profondo amore per la ricerca. «Ho sempre desiderato fare la cavia da laboratorio» sdrammatizzò poi.

Failla rise. Non fece in tempo a ribattere che due potenti colpi alla porta fecero sobbalzare sia lei che Jadien. Sbiancarono entrambi, Failla in particolare, ricordandosi solo in quell'istante dell'invito che quel mattino aveva ricevuto. Per tutti gli dei e le stelle nel cielo. Merda. Non servì che Alastair Caedmon parlasse perché lei, con la testa bassa, si allontanasse da Jadien e lo raggiungesse. Non si guardò neppure indietro, lanciando appena un'occhiata di scuse in direzione della fata, quando iniziarono a incamminarsi nel corridoio nell'ala ovest, diretti verso le stanze della regina.

«Sono mortificata» si sentì in dovere di dire. Failla sapeva che si trovava nei guai, in quegli stessi guai in cui aveva sperato di non trovarsi mai una volta giunta a Belval. Era un affronto alla regina, quello, di una grandezza tale che secondo le usanze di Ellult era al pari di un tradimento. Certo, Failla non si trovava a Ellult e non era fedele alla corona di Ariestria, ma conosceva fin troppo bene le dinamiche reali per credere che un atteggiamento simile potesse rimanere impunito.

Il sacerdote non rispose subito. Superarono guardie su guardie, prima di sentirlo finalmente parlare. «La regina non è contenta» la informò, glaciale.

Failla già lo immaginava, ma un brivido le risalì comunque lungo la schiena. Era in ritardo, estremo ritardo, al primo invito ufficiale di Esme Oakmane. Ovvio che non fosse contenta, nemmeno lei probabilmente lo sarebbe stata. Deglutì, cercando di raddrizzarsi. Aveva fatto un passo falso, ma non poteva mostrarsi debole, calpestabile. Volente o meno, Failla rappresentava il suo regno, la corona di Ellult.

«Mi farò perdonare» rispose, forzando un sorriso.

Alastair la guardò per un breve istante, prima di far cenno alle guardie di aprire le porte. Failla trattenne il fiato, sentendo il cuore iniziare a battere più velocemente. Non aveva capito che l'incontro fosse nelle stanze private della regina. Si fermò sulla soglia, rimanendo abbagliata dal luccichio delle mura di diamante e dalla luce del tramonto che le incendiava, trasformandole in un mare di fuoco pulsante. L'ennesimo brivido percorse la sua schiena, non sapeva dire se perché affascinata o intimorita.

«Vostra Maestà» si annunciò Alastair, obbligandola con la sua magia ad avanzare.

Failla fece un passo avanti, quasi inciampando sul tappeto color vino. Il silenzio era ovattato, rotto solo dal leggero fruscio delle tende di lino e dal mare al di fuori che si infrangeva sugli scogli. Esme Oakmane sedeva su una poltrona rossa davanti a un tavolino di vetro. Failla impallidì nel notare due tazze di tè, una delle quali vuota. Quello nella teiera doveva ormai essere freddo, un promemoria del suo ritardo.

The Songs Of The Twin FlameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora