Capitolo 27

19 3 21
                                    

Cillian avrebbe voluto urlare. Non apriva gli occhi da giorni, forse settimane, arreso al buio dell'antro scavato nella pietra in cui i segugi lo avevano sbattuto. Sapeva solo di trovarsi sotto strati e strati di terra, così lontano dal suo amico cielo e dalle nuvole, dalla sua libertà. Pareti irregolari e umide si ergevano intorno a lui, licheni verdi tappezzavano il freddo pavimento di pietra e il basso soffitto si perdeva nell'oscurità, come un cappio che si stringeva intorno al suo collo. Si sentiva soffocare, schiacciato dalle rocce che sembravano avvicinarsi ogni giorno di più. Non c'era speranza in quel luogo.

Il ronzio costante di insetti affamati riempiva l'aria, mescolandosi al puzzo stagnante dell'umidità. L'odore di muffa penetrava nelle sue narici, facendogli seccare la gola, e il freddo metallo delle catene di ossidiana, avvolte attorno a polsi e caviglie, si scontrava con la pelle nuda, lacerandola al più piccolo movimento. L'unica fonte di luce proveniva dalle lampade a olio fissate sulle pareti del corridoio, fiamme deboli e tremolanti che proiettavano ombre spettrali sulla terra scura. Cillian poteva percepire il loro fievole calore raggiungerlo, di cui cercava di bearsi il più possibile. Cresciuto sui Monti Athos, tra neve e ghiacciai, non aveva mai provato freddo nella sua vita, ma laggiù la temperatura sembrava andare ben oltre quella delle sue montagne, come se le ombre circostanti fossero dense di sola morte.

Non si pentiva. Non si sarebbe mai pentito di aver rinunciato alla sua libertà per salvare Rea, non con lui che a malapena riusciva ad attingere completamente alla sua magia, non con tutti quei mostri alati in arrivo. Era meglio così. Sapere che lei fosse lontana e che avesse ancora il medaglione riusciva a tranquillizzarlo. Ad agitarlo, invece, era il pensiero che Rea avesse vissuto in quel posto per tre anni, sopravvivendo ad Althran e ai segreti che nascondeva nel sottosuolo del suo castello. Come aveva fatto a non impazzire? Come era riuscita a fuggire con qualcosa di tanto importante tra le mani? Cillian non riusciva a capirlo. Che fosse intraprendente, ostinata e dannatamente testarda ormai lo sapeva, ci aveva persino fatto i conti. Aveva solo ventun anni mortali, dei. Cillian cercò di ignorare la fastidiosa fitta al petto.

Dalle celle adiacenti intanto giungevano gli echi delle urla, un lamento continuo che gli faceva venire la nausea. Avrebbe voluto tapparsi le orecchie, non essere un drago immortale con un udito così sviluppato, addirittura tagliarsele. Le voci spezzate, soffocate dall'oscurità, urlavano suppliche e invocavano la Morte per ore, senza mai fermarsi, grida di dolore che facevano eco nei corridoi freddi e umidi. Il cupo suono delle catene che si agitavano, poi, si fondeva al sibilo delle correnti d'aria, creando un coro sinistro di gemiti che sembrava provenire dalle viscere del castello stesso. Era una sorta di canto funebre, quello delle urla. Avvolgeva le segrete e la sua cella come un maledetto sudario, un canto di strazio e disperazione che trasportava il peso dell'angoscia attraverso le sbarre di ferro scuro. Cillian avrebbe dato fuoco a tutto pur di non sentirlo più.

«Sei sveglio, principe Vatraszél?»

Aprì gli occhi di scatto, senza trattenere un ringhio di avvertimento. Squadrò la fata con diffidenza, chiedendosi cosa ci facesse una ragazza così giovane in quel maledetto posto. Era bella, molto, la bellezza immortale delle fate che ne baciava i lineamenti del viso e le labbra piene. Biondi boccoli erano stati raccolti in una coda alta, mettendo in risalto i grandi occhi verdi, e due lunghe ali brillavano sulla sua schiena, delicate e diafane. Non era una prigioniera. Un segugio aprì la porta della cella e la fata entrò, sicura e affatto spaventata. Sapeva ciò che stava facendo, quale fosse il suo compito.

«Non torni a Ellult, principessa Ashammer?» domandò Cillian, assottigliando lo sguardo.

L'aveva riconosciuta dal colore degli occhi, dal profumo di piante secolari della sua pelle. Vent'anni prima aveva assistito ai festeggiamenti della sua nascita, alla gioia con cui il popolo aveva accolto la notizia. Gwendoline Ashammer, la futura regina di Ellult. Perché allora si trovava a Thornfell, nel palazzo di chi aveva conquistato brutalmente il suo regno? Cillian non smise di fissarla, lo sguardo che seguiva ogni suo movimento. Non si fidava.

The Songs Of The Twin FlameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora