Capitolo 45

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Stava precipitando. Stava letteralmente precipitando. L'aria le frustava il viso, i capelli svolazzavano selvaggiamente come bandiere al vento, mentre sotto di lei sentiva il mare protendersi per inghiottirla, pronto a sputarla contro gli scogli. Il vento le urlava nelle orecchie, un sibilo acuto che strappava via ogni altro suono, e il cielo si era trasformato in un vortice di nuvole grigie che si muovevano turbinose in una danza macabra. Rea non sentiva il proprio corpo, paralizzata da una paura che non le apparteneva. Si costrinse ad aprire gli occhi, liberandosi del terrore che l'attanagliava, di quel nodo gelido che le stringeva lo stomaco, togliendole il fiato.

Non sapeva cosa diamine stesse succedendo, ma non aspettò di schiantarsi. Mutò. Si trasformò in un falco e spalancò le ali, prendendo quota e guardandosi intorno spaesata, non capendo. Perché. Cazzo. Si. Trovava. A. Belval. Sorvolò le pareti di diamante del castello, studiando dall'alto la situazione. In lontananza, verso le mura, i mostri di Althran scendevano in picchiata, macchie nere che sporcavano il cielo terso. Lo scudo protettivo di Alastair Caedmon era stato distrutto? Ma certo, si ricordò. Non importava quanto potente fosse la magia, quei mostri erano stati creati per cibarsene.

Rea raggiunse una finestra, entrando nella stanza di qualche ospite di corte e mutando di nuovo. Diventò una libellula, piccola e veloce, inoltrandosi nei corridoi. Cosa ci faceva lì? Come cavolo ci era arrivata? Per Ulfr, doveva evitare che qualcuno la vedesse, altrimenti... Represse un brivido, scivolando sotto arazzi e armature come un soffio di vento. Il brusio di voci concitate le giungeva da ogni dove, ogni tanto un urlo squarciava il silenzio. Bene. Rea sperava solo che Jadien si fosse chiuso in casa, che a Crya nessun mostro di Althran fosse giunto.

Si infilò in una sala gremita di fate terrorizzate, pianti e grida disperate che riempivano l'ambiente. Una scena patetica. Nobili che potevano combattere e distruggere, che invece piangevano e si abbracciavano. Idioti immortali arroganti. Rea lasciò la sala, infilandosi nella fessura di una porta e tornando nei corridoi, dove cavalieri in armatura correvano verso l'ingresso. Dovevano essere stati convocati sulle mura, a combattere contro i mostri. Un attimo. Rea si fermò a mezz'aria, sentendo il cuore scoppiarle nel petto. Era Jadien, quello? Pensò di aver visto male, di aver avuto una svista, eppure si diede comunque all'inseguimento, cercando di stargli dietro. Avrebbe riconosciuto quel passo ovunque.

Cosa stracazzo ci faceva Jadien a palazzo? E perché indossava un'armatura? Gli aveva intimato di restare a Crya, di non avvicinarsi mai alla corona, e lui diventava un cavaliere? Doveva essere uno scherzo. Doveva. Forse aveva visto male, forse... oh no. Quello era proprio Jadien. Lo vide sfilarsi l'elmo, avendone la conferma. Rea non ci vide più. Mutò proprio davanti a lui, spingendolo dentro una stanza senza dargli il tempo di capire.

«Cosa. Diamine. Ci fai. Qui» sbraitò, spingendolo ancora.

Lui la guardò confuso, come se fosse impazzita, e Rea cedette. Per Ulfr, non era cambiato proprio nulla: arrabbiarsi con Jadien le risultava difficile. Lo abbracciò di slancio, cercando di trattenere le lacrime. Era Jadien, era proprio il suo Jadien. Quello era il suo profumo, il suo tocco. Era reale. Lo avrebbe ucciso in un altro momento per non averle dato ascolto.

«Failla?» lo sentì dire.

Rea si staccò. «Failla?» ripeté confusa, notando il modo in cui suo fratello era arrossito e si era voltato. Alzò un sopracciglio, ricordandosi solo dopo di essere nuda. Ma certo, doveva essere quello a metterlo a disagio.

«Failla, forse è il caso che...»

«Per Ulfr, Jadien, sono io» sbottò. Ci mancava solo che non la riconoscesse.

Jadien si girò di scatto, spalancando gli occhi. Lo vide vacillare, la confusione disegnata sul viso. Rea addolcì lo sguardo. Dei, quanto era cresciuto. Fece un passo avanti, accarezzandogli una guancia e notando subito dopo la mascella più spigolosa e meno da bambino, l'accenno di barba tagliata che una volta non gli cresceva nemmeno. Lo aveva lasciato appena un sedicenne e lo ritrovava un piccolo ometto. Lo abbracciò di nuovo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 24 ⏰

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