Capitolo 42

12 3 27
                                    

Quando con un gesto secco tirò giù la tenda, Gwendoline fu costretta a indietreggiare per non venir avvolta dalla nuvola di polvere che si sollevò da terra. Sbatté le ali, trattenendo uno starnuto, e fece lo stesso con la tenda vicina e l'altra ancora. La sala aveva già assunto un aspetto diverso, la luce bianca della nebbia che ne aveva svelato gli angoli più nascosti. Persino il pianoforte, libero dalla tela bianca, sembrava brillare nonostante la polvere che ancora giaceva sul nero e sui suoi tasti. Gwendoline sorrise di soddisfazione, lanciando un'occhiataccia al segugio alle sue spalle. Come sempre, non la perdeva mai di vista.

«Ripetimi perché non ci sono servi in questo dannato castello» si lamentò, corrugando la fronte.

«Il mio re non vuole fastidi»

Gwendoline alzò gli occhi al cielo. «È per questo che ha ucciso anche la sua corte?»

«Non ha ucciso la sua corte» ringhiò il segugio «La corte ha eseguito i suoi ordini»

«L'ha uccisa» contestò lei, sminuendo le sue parole. Il segugio poteva raccontarla come voleva, ma per lei non c'era molta differenza. La corte poteva pur aver eseguito gli ordini di Althran, ma la realtà era una: era morta nel farlo, uccisa dal suo stesso re.

«Liberati di queste tende» aggiunse poi «E trovami qualcuno che possa pulire questa stanza. È ora che il castello torni ad avere una parvenza di decenza» per quanto possibile, aggiunse mentalmente. Si guardò intorno, immaginandosi la sala di ballo allestita come di dovere. Con qualche ritocco qua e là poteva davvero cambiare aspetto, il potenziale c'era tutto.

«Il re non ne sarà contento» grugnì il segugio, afferrando le tende dal pavimento.

Gwendoline sorrise. «Ma lo sarò io. Non ti è forse stato ordinato di servirmi?»

«Di servirti, sì» aggiunse una terza voce. «Ma non di disobbedirmi»

Il segugio abbandonò le tende, inchinandosi e rimanendo in silenzio. Poi, quando Althran gli ordinò di lasciare la sala, sgusciò fuori dalle porte, richiudendole. Gwendoline non smise di sorridere, mentre il re di Rilgasten la fissava con i suoi intensi occhi neri. I suoi lineamenti si stagliavano nitidi contro il chiarore fioco della luce, bianca come la nebbia al di fuori. I lunghi capelli neri come la notte cadevano, come sempre, lisci e morbidi sulle sue spalle, incorniciando le orecchie allungate. Era sempre lui, eppure, illuminato dal fascio della luce, Althran sembrava diverso. Più potente, più bello, più vivo. Era un re illuminato dalla luce del sole, si rese conto Gwendoline, ma avvolto da un'ombra di solitudine che nessun raggio poteva scacciare.

«Un sarto di fiducia e libertà di movimento. Tutto qui?» domandò Althran, soppesando la richiesta del giorno prima.

«E di essere la tua regina» gli ricordò Gwendoline, l'angolo della bocca all'insù. «Prendere decisioni, affiancarti, essere tua pari»

Althran socchiuse gli occhi. «Non ho dimenticato il patto di sangue» tagliò corto. Fece un passo verso di lei, sicuro, un felino che si avvicinava alla sua preda senza alcuna esitazione. Gwendoline non si mosse quando il re le toccò con il dorso della mano una guancia. Non c'era affetto in quel gesto.

«Il tuo sapere in cambio della tua cieca lealtà. Se ti dirò di uccidere, ucciderai, se ti dirò di inchinarti, ti inchinerai, se ti dirò di-»

«No» lo interruppe, guardandolo negli occhi. «Non diventerò la tua prossima mutaforma. O sarò la tua regina, con la mia libertà e la mia dignità, o non avrai niente da me» Gwendoline mantenne il contatto visivo, decisa.

«Non sopporteresti il peso» la mascella di Althran fece un guizzo appena percettibile. Se non fosse stato per il legame che li univa, Gwendoline non avrebbe notato niente di fuori posto nel suo viso marmoreo, freddo e austero. Non un cambiamento, niente.

The Songs Of The Twin FlameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora