Aveva le allucinazioni. Cillian lo aveva capito dopo aver visto sua madre e suo padre, la prima con gli occhi colmi d'amore e il secondo con il viso rigido, come sempre severo. Aveva visto casa, di nuovo, la neve e le montagne che sfidavano il cielo. Aveva anche visto Rea, percepito il suo tocco, sentito la sua voce. Se Cillian allontanava il tanfo di quelle luridi prigioni, aveva come la sensazione di poterne sentire il profumo, salsedine e pioggia che si mescolavano in un aroma indescrivibile. Sapeva che fosse frutto della sua immaginazione: Rea non sarebbe mai tornata a Thornfell. Era una donna troppo egoista per farlo, una sopravvissuta e una fuggitiva troppo intelligente per tornare indietro. Avrebbe portato il medaglione alla sua regina, sarebbe tornata da quel Jadien di cui gli aveva accennato, avrebbe rincorso la sua libertà fino alla fine dei suoi giorni. Non c'era spazio per lui nella sua vita.
Cillian soffocò un gemito di dolore, mentre sentiva i granelli di ossidiana scivolare in profondità nella ferita ancora aperta. Senza la magia a curarla, probabilmente si sarebbe anche infettata. Abbandonò la testa all'indietro, chiudendo gli occhi. Rea lo aveva abbracciato, aveva toccato il punto in cui la sua ala non sarebbe più cresciuta, graffiandolo quasi mentre pronunciava la sua promessa di morte. Decisamente un sogno, soppesò Cillian, uno fin troppo sdolcinato per essere reale.
Stava impazzendo. Tra le urla delle celle più vicine e quelle che giungevano dai piani inferiori, non riusciva a riposare abbastanza. Sentiva gli occhi pesanti, gonfi addirittura. L'ossidiana che sfregava intorno a polsi e caviglie aveva aperto poi nuove ferite, che per quanto piccole bruciavano terribilmente. Tutto in quella cella era una condanna, dalla privazione della magia alle gocce che per l'umidità gli colpivano la fronte a un ritmo costante. Cillian le aveva contate una per una, arrivando a settecentocinquasettemila; nel conteggio non rientravano quelle che cadevano quando perdeva conoscenza. In un certo senso, contare lo aiutava a restare ancorato al presente, a capire quanto tempo fosse trascorso dalla sua cattura.
Cillian sapeva bene cosa significasse perdere la cognizione del tempo. Era qualcosa che lo aveva sempre disturbato, una punizione che suo padre usava spesso quando era un bambino. Per educarlo, diceva, per fargli capire quanto i mesi, le settimane, i giorni, le ore e persino i secondi fossero importanti. Gli immortali tendevano a dimenticarlo, a sprecare il dono di una vita così lunga e potente.
In quel momento, però, a Cillian sembrava di essere tornato bambino. Avrebbe voluto scalciare, urlare, uscire dalla grotta buia in cui suo padre lo chiudeva per ore, giorni e talvolta settimane. Era facendogli vedere ciò che si perdeva al di fuori, i ghiacciai che si scioglievano, l'aurora boreale oltre le nuvole, le festività del popolo, che gli insegnava il valore del tempo. Tramite i racconti, Cillian tentava di recuperare quanto si era perso. Una volta era sua madre, mentre lo coccolava prima di andare a dormire, a farlo. Ma adesso? Nessuno là fuori lo stava aspettando, nessuno gli avrebbe restituito il tempo che gli era stato strappato. Nessuno gli avrebbe raccontato ciò che nel mondo stava accadendo.
Cillian era condannato a un'eternità di solitudine, a contare per secoli quelle dannate gocce d'acqua. Se avesse smesso di farlo, forse il peso sulle sue spalle si sarebbe alleggerito. Ma non poteva, non voleva. Smettere di contare significava abbandonarsi al volere di Althran, significava arrendersi allo scorrere del tempo: avrebbe passato anni laggiù senza sapere, vittima di una scelta codarda. Solo che Cillian non era un codardo. Era un guerriero. Avrebbe sopportato ogni singola goccia, avrebbe contato finché la lucidità non lo avrebbe abbandonato del tutto. Avrebbe lottato, senza ali e senza armi, proprio contando. Solo i numeri ora gli rimanevano.
Riaprì gli occhi di scatto. «Settecentocinquantottomila» disse, mentre la porta della sua cella veniva aperta.
Gwendoline Ashammer non sorrise nell'entrare né esitò. Avanzò spedita verso di lui, in mano un secchio d'acqua e una cesta. Cillian inclinò la testa, digrignando i denti per via della fitta che gli attraversò la schiena. Succedeva sempre quando osava muovere il collo.
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The Songs Of The Twin Flame
FantasyRea e Failla non si conoscono, eppure le loro vite sono intrecciate l'una all'altra indissolubilmente. Come legate da un filo invisibile, si rincorrono infatti senza saperlo, pedine nelle mani silenziose degli dei, che sembrano aver deciso per loro...