Capitolo 5

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La festa era qualcosa di spettacolare, addirittura più magica dell’anno prima. Le fate indossavano abiti sgargianti, colori di ogni stagione che davano vita a un vortice arcobaleno. Failla osservò le coppie danzare, le gonne delle donne alzarsi come le note dei violini, le mani guantate degli uomini che sfioravano appena le schiene delle compagne e si allontanavano per seguire i passi dei balli tradizionali. Gwendoline era tra loro. Ballava con il padre, un largo sorriso stampato sulle labbra, i biondi capelli che vibravano nell’aria ad ogni giravolta. Era la protagonista della serata, come sempre, e non perché la festeggiata. La principessa sprigionava un certo magnetismo: gli occhi di tutti era puntati sulla sua figura, il vestito rosa che volteggiava e che di tanto in tanto lasciava intravedere le scarpe con il tacco. Anche Failla la guardava. Non riusciva a farne a meno.

Gwendoline Ashammer era bellissima, lucente come un diamante e una stella. Era un’opera d’arte, bella fuori quanto elegante in ogni suo passo e movimento. Failla era invidiosa, non lo aveva mai negato a sé stessa. La detestava perché servirla significava non diventare una guaritrice, ma anche perché più bella, più forte e più amata di lei. Nonostante il suo carattere, nonostante guardasse tutti dall’alto verso il basso, Gwendoline veniva sempre scelta. Sempre.

Failla lanciò uno sguardo al grande orologio che torreggiava sulla parete di fronte, le lancette che lentamente si spostavano verso destra. Mancava poco a mezzanotte, ai suoi, ai loro vent’anni. Non aveva fatto che pensare ad Abel per tutto il tempo, al modo in cui aveva evitato il suo sguardo quando le aveva detto di avere un regalo per lei. Failla si ritrovò ad arrossire, ma si impose di non viaggiare con la mente, di non immaginarsi realtà impossibili e illusorie. Non era che un gesto d’amicizia, si ripeté, né più né meno. Guardò di nuovo l’orologio, mordicchiandosi la guancia. Un quarto d’ora. Doveva solo aspettare un quarto d’ora e sgattaiolare sulle terrazze appena tutti avessero iniziato a festeggiare la cugina. Sarebbe stato facile, Failla era già invisibile.

Accanto a lei, la regina Odette continuava a guardare la figlia danzare con il marito. Sorrideva spensierata, gli occhi verdi degli Ashammer colmi di amore e gioia. Lo erano solo per la famiglia, mai con gli altri. Mai con lei. Failla non odiava sua zia, ma la detestava forse più di Gwendoline. Era per colpa sua se sua madre era ridotta in quello stato, se lei era cresciuta senza un padre che l’amasse e se era costretta a rimanere a palazzo, un modo per tenere la sorella sotto sorveglianza e impedirle di cercare e di raggiungere il suo compagno di vita, ovunque lui fosse. Failla la studiò di sottecchi, maledicendola per essere così uguale alla madre, una gemella in salute che trasudava tutta la sua forza immortale.

Tornò all’orologio. Il tempo sembrava non passare più. Rimase comunque in attesa, la schiena dritta e le mani sul grembo. Fata o meno, era una Ashammer e sapeva quale fosse il suo posto, come doveva comportarsi. L’aveva imparato anni prima, a sue spese, l’educazione impartita dalla zia che non le si era più scucita di dosso. Forse sentendosi osservata, la regina le lanciò uno sguardo talmente gelido da farla rabbrividire. Failla abbassò la testa, una scusa silenziosa per essere stata irriverente, e alla zia per fortuna bastò. Fu in quel momento però, mentre Odette si girava di nuovo a guardare la figlia, che Failla notò una macchia sulla sua spalla, la pelle solitamente liscia e perfetta raggrinzita e arrossata. Era uguale a quella di Gwendoline, grande quanto bastava per essere notata ma non abbastanza per essere oggetto di preoccupazione.

L’orologio rintoccò. Il salone esplose in un applauso, gli invitati che si dirigevano verso la principessa per farle gli auguri di compleanno. Anche Odette si alzò dal trono, scordandosi di lei, e Failla approfittò di quell’istante per scomparire tra la folla e lasciare la sala. L’aria autunnale le solleticò subito il viso, liberandola del profumo di fiori che aleggiava dentro il palazzo. La musica all’esterno era un lieve sottofondo e il vento che soffiava dai Monti Athos, ancora più a nord, portava con sé il frusciare dei rami e lo scrosciare del fiume sottostante. Abel era già lì, l’uniforme che gli fasciava il corpo slanciato e tonico alla perfezione, alle sue spalle la luna brillava piena, disegnando riflessi dorati sulla chioma color cenere. In mano aveva un sacchetto, un grande fiocco blu a tenerlo chiuso. Era il suo colore preferito.

The Songs Of The Twin FlameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora