Capitolo 12

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Le girava la testa. Aveva ancora gli occhi chiusi, intorno a lei pura oscurità. Failla si sentiva piccola in quel nero: era sola, le tenebre più infime ad abbracciarla, le ginocchia al petto e il dondolio incessante del suo corpo. C'era qualcosa di rassicurante nello stare laggiù, dove niente e nessuno poteva raggiungerla. Aveva la sensazione di poterci restare per sempre, di avere il controllo su se stessa e sulla sua vita. Nessuno, in quel posto, poteva farle del male, nessuno l'avrebbe ferita.

«Potevi colpirla con meno forza»

Le voci erano ovattate, provenienti da un altro mondo; lontano o vicino, a Failla non importava. Stava così bene dove si trovava, si sentiva leggera. Era come se tutte le preoccupazioni che prima si portava nel petto fossero svanite, come se qualcuno le avesse portato via ciò che prima le rendeva difficile sorridere.

«Credi che mi sia divertita?» rispose un'altra voce. Failla l'aveva già sentita da qualche parte, ma non ricordava dove. Che senso aveva ricordare, quando stava così bene immersa nelle tenebre della sua mente? La luce, in quel momento, l'avrebbe solo infastidita.

«So che non è così, Leilani» sospirò con stanchezza. Era un'altra donna a parlare, più vecchia. «Dico solo che non ce n'era bisogno. Guardala, è una ragazzina, che pericolo poteva rappresentare?»

«È una mezzosangue» la corresse con stizza. «E sai che le fate con noi non sono benevole»

Failla non capì nulla. Si sentì solo precipitare nel vuoto, di nuovo, e si lasciò abbracciare dal nero confortante in cui già prima galleggiava. C'era qualcosa di spaventoso dall'altra parte, qualcosa che lei non voleva più rievocare. In quel limbo era in pace, tranquilla, era una bambina che ancora non aveva incontrato la morte e la violenza. Oltre, dove c'era la luce, non c'era che l'illusione di una vita gioiosa. Nella sua testa vorticavano volti di persone di cui Failla non rammentava il nome, mani callose che le accarezzavano il viso, iridi di un verde brillante che si spegnevano. Scacciò tutto e, nel farlo, tornò involontariamente in superficie.

Sentì una mano posarsi sulla sua fronte, poi la stessa voce turbata di prima. «Si sta svegliando»

Failla non voleva svegliarsi. Lottò con tutte le sue forze per rimanere laggiù, per restare ancorata a quelle tenebre rasserenanti, ma mani invisibili la riportarono a galla ancora una volta, strappandola dal buio. Sentiva di averle già conosciute quelle mani, che non fosse la prima volta che la spingevano verso l'alto, verso la vita. Qualcuno le schiaffeggiò con dolcezza la guancia, una, due volte. A Failla uscì un lamento strozzato dalle labbra. Erano così secche che socchiuderle le fece spezzare, invadendo la sua bocca di sangue fresco.

«Apri gli occhi, bambina»

No, pensò. Non voleva aprire gli occhi, non voleva nulla che non fosse quella quiete in cui era avvolta. No, no, no. La luce era troppo per lei. Failla strizzò le palpebre, sentendo le lacrime impregnarle le ciglia. Infastidita, richiuse gli occhi per proteggersi. La donna la schiaffeggiò di nuovo, delicata, impedendole di ricadere vittima del sonno, e a quel punto Failla si sentì costretta ad accontentarla. Sbatté le palpebre più volte, cercando di abituarsi alla luce accecante, su di lei una sagoma umana che torreggiava preoccupata. Ci mise un po' per metterla a fuoco.

«Leilani, va' a prendere dell'acqua»

Un'altra figura si alzò da una sedia. Failla non riuscì a distinguere le ombre dai suoi lineamenti, la vista ancora appannata, ma sembrava stizzita. Sparì, lasciando la stanza. La donna davanti a lei, invece, ora riusciva a vederla. Era anziana, sulla settantina, e nel viso scavato e rugoso brillavano due grandi occhi blu, espressivi quanto il mare dell'est. Portava i capelli bianchi raccolti in una crocchia disordinata e indossava una veste larga e grigia, che avvolgeva il suo corpo ingobbito fino ai piedi.

The Songs Of The Twin FlameDove le storie prendono vita. Scoprilo ora