20. L'unica droga a cui non ho saputo dire no

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POV EVELINE

Resto sdraiata sul letto e sotto le coperte nella mia stanza buia, l'unica luce presente è quella del sole che filtra dalle tapparelle.

È da giorni che sono rinchiusa in camera, da quando sono stata male e finita in ospedale.

Non mi muovo dal letto se non per farmi una doccia ogni tanto, mia madre mi porta da mangiare sennò non farei nemmeno quello.

I dolori ritornano qualche volta ma vanno meglio perché il dottore mi ha prescritto una pillola apposta per il male, che è molto più forte dei soliti antidolorifici che ingerivo e assumevo prima.

Il dottore, inoltre, mi ha specificatamente detto di non fare sforzi per almeno una settimana e, sinceramente, non li farei comunque.

Non ho voglia di fare niente, cerco persino di evitare i miei amici. Amelia e le ragazze mi hanno scritto con insistenza e lo stesso William, nessuno ha ricevuto mia risposta perché non voglio vederli, non me la sento.

L'unica cosa che voglio fare è dormire e basta, per cercare di dimenticare ciò che mi è stato detto quel giorno nella stanza d'ospedale e che mi ha spezzato il cuore.


Apro gli occhi lentamente, fissando un soffitto bianco sopra di me che non è della scuola...

E all'improvviso mi ricordo che ho avuto mal di pancia, sono caduta a terra e Amy si era preoccupata, cercava di starmi accanto, di controllare che stessi bene e di parlare con me, tutto questo in palestra.

Poi mi ricordo del tocco di William e delle sue parole dolci di conforto, con cui mi prometteva che sarei stata meglio e che sarei andata in ospedale.

Di ciò che è successo dopo, però, ho poca memoria, ricordo soltanto che sono stata portata sull'ambulanza e da lì a poco mi hanno sedata, perché mi stavo agitando in quanto ero da sola e William non è potuto salire.

Ed ecco dove mi trovo: in ospedale.

Lo capisco ancor di più dall'odore di disinfettante che penetra nelle mie narici.

Mi metto a sedere, stordita, cercando di mettere bene a fuoco l'ambiente circostante.

In un angolo è posta una sedia dove è seduto mio padre, che ha i capelli castani scompigliati e gli occhi blu aperti, intenti a fissare la porta della stanza.

Tocco la pancia leggermente dolorante e coperta da una vestaglia scomoda. Non mi fa male come prima e ne sono grata, non riuscivo più a resistere, non sapevo come fare smettere il dolore e adesso, per fortuna, un po' è sparito.

«Tesoro...» la voce gentile di mia madre mi fa girare lo sguardo a sinistra, i suoi occhi verdi sono lucidi e preoccupati. Si alza dalla sedia su cui era seduta e si avvicina, accarezzandomi i capelli. «Stai bene, ti senti meglio?»

Annuisco lentamente. «Ho solo un po' di male alla pancia, ma va meglio di prima...»

«Ci siamo preoccupati tantissimo.» dice mio padre con la sua voce profonda, raggiungendomi subito, si siede sul bordo del letto e prende il mio viso con una mano, accarezzandomi delicatamente una guancia. «Sicura di stare bene?»

Annuisco. «Si, sono anche leggermente stordita se devo dire la verità. Ma tutto sommato sto bene.» giro lo sguardo dall'uno all'altra. «Da quanto tempo sono qui?»

«Da un paio d'ore, non di più. Ti hanno dovuta sedare per fare i dovuti controlli, ci hanno detto che non ti saresti svegliata prima di stasera, ma a quanto pare non hai dormito così tanto come avresti dovuto.» risponde papà, prendendo ad accarezzarmi i capelli insieme a mia madre.

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