CAPITOLO 40: A Rebours

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Le tenebre erano ormai calate e l'orario stabilito si stava avvicinando inesorabilmente.
Ancora incerto sul da farsi, tentennava torcendosi le mani con il cuore in gola.
In quegli attimi concitati doveva scegliere il proprio destino: proseguire con il piano concordato e andare incontro al fallimento certo o in ogni caso ad un esito infausto per mano del loro stesso prigioniero o dal Dux se fosse stato scoperto oppure cambiare idea e trovarsi a pagare un pegno di un'entità sconosciuta.
L'Immortale, l'ostaggio che doveva catturare come ulteriore garanzia di riuscita, era come evaporata.
Quando aveva fatto irruzione nella sua stanza dopo essersi accertato che il Dux e le guardie fossero impegnate altrove, l'aveva trovata vuota e questo intralcio non aveva fatto altro che confermare la debacle imminente.
Le lancette scorrevano inesorabili e doveva prendere una decisione, perciò si costrinse ad alzarsi e a dirigersi con discrezione verso gli appartamenti della delegazione, illudendosi di avere un'illuminazione sul da farsi lungo il corridoio deserto.
Un passo dopo l'altro, si avvicinava al portone dietro al quale lo aspettava reclamando la sua libertà il Vichingo di cui già gli sembrava di percepire l'aura malevola colpirlo ad ondate brucianti.
Le mani adunche ficcate nelle tasche della casacca, accarezzava nervosamente la chiave che poteva cambiare tutto rigirandosela tra le dita.
Arrivò davanti al portone, il fiato corto e il cuore che batteva all'impazzata.
Ormai non aveva tempo per valutare i pro e i contro, doveva semplicemente agire scegliendo il male minore.
Aveva tirato fuori dalla tasca la chiave che pareva friggere tra i suoi polpastrelli sudati pronto ad inserirla nella toppa.
Era certo che il mostro che la porta celava fremeva d'impazienza al di là del battente.
Sicuramente ne aveva colto il tintinnio benché leggerissimo.
Sicuramente aveva udito i suoi passi lievi attraversare il corridoio ed altrettanto sicuramente ora lo stava spiando dal buco della serratura chiedendosi come mai indugiasse e maledicendolo per il suo tentennare.
Lo poteva immaginare furioso, chino sulla toppa con la rabbia che montava in un crescendo esponenziale con le zanne già snudate dall'insofferenza.

Si bloccò con la chiave sospesa tra le sue dita tremanti ad un millimetro dal foro, poi la ritrasse e la ripose nella tasca.
Udì un ringhio furioso provenire da dietro al battente che fu scosso da un pugno che la fece tremare sui suoi cardini e lui sconcertato arretrò di un passo.
Come immaginava Cluddagh lo studiava impaziente e aveva visto tirarsi indietro.
Lui era il braccio operativo del piano ordito da qualcun altro che però non si era mai esposto, quindi se quel mostro fosse riuscito a scappare avrebbe cercato lui per vendicarsi.
Rimase immobile per qualche attimo, paralizzato dai colpi e dai versi sovraumani che provenivano dagli appartamenti e allo stesso tempo non riusciva a fuggire perché intuiva che la mente di quel piano non sarebbe stata altrettanto magnanima e lo avrebbe rinnegato pur di salvarsi la pelle.
In un attimo di lucidità si decise: sarebbe scappato evitando entrambe i pericoli, a costo di arrischiarsi al di fuori della corte in mezzo a delinquenti e briganti.
Girò su sui tacchi e il fiato gli si bloccò in gola: due occhi ambrati lo fissavano torvi mentre lui sussultò e deglutì a vuoto più volte.
Il Dux in persona si trovava a meno di un metro da lui e lo fissava cupo, al suo fianco il suo condottiero e amico Sephiroth che a sua volta lo guardava con sdegno e ribrezzo.
Alle loro spalle, in lontananza lungo il corridoio vide aprirsi in sequenza le porte delle altre stanze e uscire altre guardie dall'aspetto altrettanto truce.
Aveva temuto che il piano fosse fallace, ma non aveva affatto immaginato che l'avessero scoperto e che avessero a loro volta ordito una trappola.
Ora era davvero finita.

"Apri la porta"
gli intimò lui in un sussurro bassissimo, la voce coperta dai ringhi furiosi e dai colpi che rischiavano di abbattere l'uscio.
"Girati e apri"
insistette scoprendo le sue zanne maestose completamente sguainate e le iridi di bronzo fuso.

Lui comprese all'istante che il suo tono non ammetteva repliche perciò tremando visibilmente e con le gambe che cedevano, abbassò il capo colpevole e si girò di nuovo su se stesso avvicinandosi alla porta.
La mano tremava così tanto da impigliarsi più volte nella fodera della tasca prima di riuscire ad afferrare la chiave poi ci riuscì e la infilò nella toppa.
I colpi si interruppero all'istante e calo' un tetro silenzio, forse ancora più inquietante del frastuono di poco prima perché era solo l'anticamera di tutte le conseguenze che la sua ritrosia e il suo primo rifiuto gli sarebbero costate.

Nessuno dietro di lui disse una parola per rimproverarlo della sua esitazione, ma li sentiva scalpitare e fremere alle sue spalle.
Comprese che non era certo una delicatezza nei suoi confronti, ma loro non volevano che il Vichingo li sentisse.
Volevano che lui continuasse a pensare di essere solo e quindi di coglierlo di sorpresa.
Girò la chiave nella serratura e pregò che perlomeno la morte che sicuramente lo attendeva all'aprirsi del battente fosse veloce.

Non appena la chiave completò con un sonoro clac il suo giro nel tamburo la porta si spalancò con forza quasi divelta sui cardini ed istintivamente chiuse gli occhi per non vedere la sua fine.
Si sentii spingere via di peso trasversalmente e cadde rovinosamente sul pavimento.
Nell'urto aprì involontariamente gli occhi e vide il Dux e Sephiroth avventarsi sul Vichingo con rapidità ferina e con una ferocia inaudita riuscirono a stanarlo mentre si dibatteva come un demonio e poi, raggiunti dalle altre guardie a trattenerlo.
Lui era fuori di sé.
Un animale selvatico che ha assaggiato la libertà e se la vede negata a pochi palmi da sé.
Gli occhi iniettati di sangue quasi fuori dalle orbita dallo sforzo, paonazzo e ansimante, ringhiava e sibilava mostrando i canini urlando maledizioni, ingiurie ed invettive.
Lo squadrone rimase compatto ma in silenzio e pieno di contegno, ignorandolo completamente, concentrati soltanto sul loro obbiettivo.
Rimase affascinato dalla loro tecnica sapiente capace di rendere soldati di quella stazza così sinuosi e sinergici; i loro movimenti erano misurati ma energici e così equilibrati e simultanei da sembrare una danza che lo aveva ipnotizzato.
Quella era senz'altro l'elite dei guerrieri, chiamata ad intervenire straordinariamente in una questa questione così spinosa e delicata.
Il mostro era stato contenuto, costretto in ginocchio dalle enormi mani dei guerrieri che lo mantenevano abbassato sulle spalle che cedevano ingobbendosi sotto al loro peso, le sue braccia assicurate saldamente dietro la schiena.
I suoi occhi spiritati saettavano nel panico ancora cercando una via di fuga, ma lentamente stava prendendo la consapevolezza di non avere scampo e che doveva darsi per vinti e ammettere la disfatta.
Nonostante la vittoria non c'erano accenni di sorrisi sui loro volti duri e immutevoli.
Il Dux si girò lentamente verso di lui, che giaceva dolorante ma immobile poco distante.
"Ora tocca a te"

DUX BRUMAEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora