CAPITOLO 4: Folie a' deux

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"Porta itineris dicitur longissima esse"

Draven non fece più ritorno nelle sue stanze nei giorni a seguire, lasciandomi smarrita nei miei pensieri e i miei dubbi.
La sua assenza immotivata mi lasciò spaesata ed interdetta.
Dopo le rivelazioni di Eliza, avrei avuto mille domande da porgli per cercare di mettere un po' di ordine nella mia testa.

Il mio stupido pegno l'aveva allontanato?
Stupida ragazzina romantica!

Avevo bisogno di risposte o temevo di impazzire.

In un paio di giorni erano stati ribaltati tutti i miei punti fermi,
tutti i miei valori,
la mia stessa individualità.

Ed ora lui non c'era a rassicurarmi, a placare paziente le mie paure.

Eppure mi aveva quasi convinto di tenere davvero a me quel fottuto vampiro, seppure per qualche arcano ed oscuro motivo.

Fu dopo aver consumato l'ennesimo pasto in solitudine che convenni di averne davvero abbastanza di quella claustrofobica prigionia.

Balzai giù dal letto e, incurante di essere scalza ed in camicia da notte, aprii una ad una tutte le porte delle stanze di quella che sembrava essere una fottuta scatola cinese, invece che un appartamento.
Erano tutte in penombra, gli ampi tendaggi rigorosamente tirati e le attraversai a tentoni con le mani protese in avanti.
Arrivata davanti all'ennesima porta chiusa, sospirai esasperata e appoggiai la mano sulla maniglia.

"Dove pensi di andare, mia Signora?"
mi ammoni' una voce cupa e bassissima alle mie spalle richiamandomi dal mio intento.

Sussultai voltandomi di scatto e scavando nel buio fino ad indovinarvi la sua sagoma.
Lo intravidi accovacciato in una grande poltrona nell'angolo più remoto della stanza, da cui però poteva facilmente dominare tutto.

"Sono fottutamente stanca di rimanere da sola, sai?"
lo rimproverai indispettita.

Poi all'improvviso un dubbio mi sfiorò e mi avvicinai a lui con grinta, sentendo l'adrenalina bruciarmi lungo i polsi.

"Sei sempre stato qui?"
gli chiesi di getto, mentre una rabbia sorda iniziava a montarmi dentro.

Lui non rispose ed intuii dal suo profilo che si ostinava a guardare altrove privandomi persino del suo sguardo.
La sua ostentata noncuranza mi irritò ancora di più, esacerbando il mio malumore.

"Tu sei sempre stato qui!"
lo accusai sibilando con acredine.
"Io ero tra quelle quattro cazzo di pareti inquietanti da sola, pensando di perdere il senno...
e tu eri qui, a due passi?"
la mia voce divenne sempre più acuta e fremette di collera.
Mi tremavano le mani.
Dio, avrei voluto schiaffeggiarlo.

"Non posso allontanarmi,
ti devo proteggere"
si limitò a rispondere monocorde.

"Capisco.
Quindi, non ti puoi allontanare abbastanza perché devi proteggere il tuo nuovo balocco..."
ringhiai ferita dalla sua apparente indifferenza.
"...ma non vuoi avvicinarti abbastanza per essere tediato dalla mia presenza"

"Ti hanno forse fatto mancare qualcosa?"
indago', ma la sua voce era fredda, distaccata.
Lontana da ieri.

"Non mi hanno fatto mancare nulla.
Gli altri"
sottolineai piccata
"non mi hanno fatto mancare nulla.
Sei tu, fottuto succhiasangue"
lo indicai con sdegno
"tu che avevi spergiurato di prenderti cura di me ad avermi lasciato abbandonata a me stessa,
delegando ad altri i miei bisogni"

Nonostante la penombra lo vidi irrigidirsi in una smorfia di sofferenza.

"Cazzo.
Smettila, ragazzina.
Tu... non sai proprio un cazzo!"
tuonò con impeto sollevando il torso, per poi crollare di nuovo esausto sulla poltrona.

DUX BRUMAEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora