CAPITOLO 49: L'Inganno

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Rimasi sola nella nostra camera a lungo.
Draven era uscito un'eternità prima per monitorare la situazione a palazzo dopo l'esecuzione e valutare assieme ai suoi uomini sull'evolversi degli eventi.
Avevo immaginato che la sua assenza sarebbe stata lunga perché in poco tempo erano successi avvenimenti importanti che non potevano e non dovevano essere sottovalutati, ma nel frattempo le ombre della sera e poi il buio fitto si erano sostituiti alla luce e iniziavo a preoccuparmi.
E dopo tante ore, iniziavo anche a sentire lo stomaco brontolare vivacemente per la sete.
Stavo meditando di alzarmi per andare a cercarlo, quando finalmente l'uscio si aprì.

Intravidi la sua sagoma stagliarsi immobile nel buio, come se fosse indeciso sul da farsi.
Rimase semplicemente in piedi in silenzio, come sospeso tra luce e buio.
Potevo udire soltanto il suo ritmico respiro che tuttavia sembrava sforzarsi di trattenere e il battito del suo cuore leggermente accelerato.
Se non fossi stata certa di riconoscere il suo profumo e che quella che intravedevo fosse senza dubbio alcuno la sua sagoma, il suo atteggiamento distante era talmente inconsueto da farmi dubitare che fosse davvero lui.
Qualcosa in lui ora era profondamente ed intrinsecamente diverso, strano.
Inquietante.
La sua esitazione era in qualche modo lugubre e propiziatoria di qualcosa di infausto ed il suo ostinato silenzio lo rendeva irriconoscibile.
Mi misi a sedere sul letto dove giacevo attendendo il suo ritorno e lo osservai qualche attimo confusa e disorientata, poi mi costrinsi ad alzarmi e a colmare la distanza che ci separava.
Al mio primo passo lo vidi arretrare e mi arrestai, disorientata dalla sua reazione.
Ma che cazz..??

"Draven?"
lo chiamai incredula con la voce che saliva di un' ottava, iniziando a dubitare dei miei sensi.
La mia vista e il mio olfatto, persino le sensazioni inequivocabili derivanti dalla nostra comunione di sangue mi dicevano che quello era senz'altro lui.
Ma quello che era entrato furtivamente come un ladro nella nostra stessa stanza, che si ostinava a rimanere immobile e in silenzio rintanato nel buio come un ratto rifuggendo da me...cazzo no, che non poteva essere il mio compagno immortale.
Non poteva certo essere il Dux fiero ed impavido che mi ero abituata a conoscere e ad amare.

La sagoma si schiarì la voce e lo sentii deglutire.
"Magdalena,
si è reso necessario che cambi stanza per qualche tempo.
Seguimi"
si limitò a rispondere al mio richiamo con una voce che era senza dubbio la sua, ma priva di alcun calore o emozione.
Era la voce fredda e atona di un automa, non certo quella bassa e vibrante di passione del mio Signore.
Senza darmi neppure il tempo di realizzare, la sagoma vigliaccamente si stava già girando per aprire l'uscio.

"Perché devo cambiare stanza?
E perché non tu con me?"
lo incalzai in allerta, cogliendo all'ultimo il significato delle sue lapidarie indicazioni.
Lui si riferiva a me e a me soltanto.

Lo vidi indugiare per un solo istante, poi continuare a protendersi verso la maniglia fino ad aprire l'uscio.
La luce proveniente dal corridoio illuminò il suo profilo freddo e severo e intravidi un muscolo guizzare fugace sulla sua guancia.
Lui però non si girò verso la mia voce e mi rispose continuando a guardare fuori dalla stanza.
"È per la tua sicurezza.
E andrai solamente tu perché restare insieme ti rende un bersaglio più facile e allo stesso tempo...
mi rende debole"
concluse con la sua voce atona un affondo doloroso che mi penetrò il petto, per poi attraversare la porta senza voltarsi e senza attendere la mia replica.
La bassezza di squalificarmi a stregua di una sua debolezza fu sufficiente ad impedirmi di interrogarlo ancora.
Rimasi senza fiato e senza parole, un fiotto acido di bile mi innaffio' la gola.
La sua improvvisa ed ingiustificata freddezza mi colpì come uno schiaffo e per qualche minuto rimasi come paralizzata, anestetizzata dall'incertezza.
Cosa stava succedendo?

Mi trascinai senza forze fuori dalla stanza, trascinando gli arti in modo scoordinato come una bambola rotta.
L'anticamera era già vuota, ma vidi la sua ombra stagliarsi implacabile sulle piastrelle.
Lui era già avanzato nel corridoio e voltato di spalle restava nell'insofferente attesa di udire i miei passi per continuare ad incedere verso la mia nuova destinazione e con l'inaudita pretesa che semplicemente lo seguissi senza protestare oltre.
Al suo fianco c'era Sephiroth, anche lui volutamente di spalle.

Nell'udire i miei passi incerti notai che Seph si raddrizzò di colpo e il suo corpo si tese impercettibilmente come se si stesse costringendo a non voltarsi.
"Seph?"
lo chiamai, illudendomi invano che almeno il mio amico avrebbe ceduto all'impulso di voltarsi e che non mi avrebbe negato uno sguardo.
L'atteggiamento di entrambi invece era paradossale e grottesco.
"Ma cosa sta succedendo?"
gli domandai ancora esasperata.
Lui si fermò nell'udire la mia voce, ma ad un cenno rapido di Draven si ricompose ricominciando ad incedere.

Accellerai e lo afferrai per un polso.
Al mio tocco lo sentii sospirare e rallentare, il suo profilo leggermente rivolto a cercare uno sguardo di intercessione di Draven.
Il mio gigante e amico sembrava intimamente combattuto e tormentato, ma pareva condividere o assecondare le motivazioni che spingevano il suo Dux ad agire così.
"Non c'è tempo per giocare, ragazzina.
Devi seguirci subito"
replicò secco Draven scorgendo la muta richiesta di aiuto di Seph.

Lasciai il suo braccio fermandomi all'istante.
"Giocare...?
Sul serio, Dux?"
replicai piccata dalla bieca insinuazione che stessi semplicemente facendo i capricci.

Draven si arrestò a sua volta e lo scorsi sussultare per la mia scelta volutamente ufficiale dell'epiteto.
Sapeva bene che quando lo apostrofavo con il suo titolo ero furente.
Udii distintamente Sephiroth trattenere il fiato ed anche se non potevo vedere il suo volto, lo immaginai spalancare i suoi occhi cerulei per la mia impertinenza e le sue labbra arricciarsi per trattenere una risata che però non si liberò mai.
Ingenuamente mi convinsi ancora che questo escamotage fosse sufficiente a farlo capitolare e ad interrompere quella che doveva essere senz'altro una burla ben orchestrata, invece lui si limitò ad incassare il colpo e ricomincio' ad incedere lungo il corridoio seguito fianco a fianco dal suo capitano che stranamente non cedeva rivelando lo scherzo.
Rimasi senza fiato.
Qualcosa di molto strano si stava perpetrando.
Qualcosa di così strano, inconsueto e soprattutto immotivato che continuai ad essere convinta di poter udire da un momento all'altro uno di loro due scoppiare a ridere interrompendo la loro marcia ingessata e quindi la loro messinscena.
Invece non accadde.

Continuai ad incedere, completamente inghiottita dal rincorrersi di pensieri sempre più molesti e disturbanti fino a quando sentii schiudersi un uscio e sollevai lo sguardo.
"Questa sarà la tua stanza per un po'"
disse Draven senza neppure guardarmi.
Entrò al suo interno e lo seguii, rassegnata a dovermi prestare a questo gioco malevolo e sgradevole.
Era una stanza piccola e a malapena illuminata da una apertura lunga e stretta al limite del soffitto, corredata solo dello stretto necessario: un letto, un armadio aperto dove notai che avevano già portato alcuni dei miei indumenti e un piccolo uscio che immaginai dovesse essere il gabinetto.

"Draven...
Perché?"
sussurrai, implorando una spiegazione.

Ma la mia supplica rimbalzò come un'eco perdendosi nella stanza già vuota.
Draven era già uscito alle mie spalle, senza dire neppure una parola e senza salutarmi, chiudendosi silenziosamente l'uscio dietro alle spalle.
Un attimo dopo udii una chiave girare nella serratura, imprigionandomi tra quelle quattro mura spoglie.

Mi sfuggì un singhiozzo disperato.

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"Fratello..."
sussurrò Seph commosso, appoggiandomi una mano sulla spalla in segno di vicinanza.

La processione dalla nostra stanza sino a lì era stato penosa e resa ancora più straziante dalla sua incredulità e dall'ingenuo convincersi passo dopo passo e fino all'ultimo che fosse semplicemente uno scherzo.
L'avevo appena chiusa in quella che nei prossimi giorni, o ancor peggio settimane, sarebbe stata la sua prigione e ora restavo appoggiato con il capo alla porta che ci separava udendo i suoi singhiozzi disperati con il cuore in frantumi e l'anima in tempesta.
Stringevo convulsamente i pugni fino quasi a spezzarmi le dita per trattenermi dall'istinto naturale di divellere quella fottuta porta e tirarla al sicuro verso il mio petto, ma continuavo a ripetermi che ora proteggerla significava accettare di farle questo.

"Te ne prego, andiamo"
mi implorò Seph con la voce profonda spezzata a tratti dalla quando e non opposi resistenza quando con una straordinaria delicatezza mi afferrò per gli avambracci per allontanarmi da lei.

DUX BRUMAEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora