CAPITOLO 44: Gemelli diversi

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Fissavo con risolutezza l'uscio della cella che purtroppo mi era tremendamente familiare.
Pensavo di averli rimossi, invece ricordai d'un tratto quei giorni non tanto lontani in cui ero stato rinchiuso nelle segrete per punizione o anche solo per capriccio e gemetti, cercando semplicemente di dimenticare quella sensazione fredda di annichilimento e vuoto.
Anche quando decidevano finalmente di liberarmi rimanevo intontito ed inebetito a lungo dall'isolamento e disorientato come una falena dalla luce naturale e cercavo di rendermi invisibile per evitare o quantomeno posticipare il più a lungo possibile la reclusione.
Mi costrinsi ad allontanare la mia mente dai turbamenti di allora e mi imposi di pensare che Draven non poteva conoscerli...e non doveva.
Non volevo affatto che sapesse.
Non avrebbe avuto alcun senso ora raccontargli dettagli sinistri e raccapriccianti della mia vita perché il loro ricordo volente o nolente sarebbe comunque rimasto incistato dentro di me come un cancro e Draven non avrebbe fatto altro che sentirsi ulteriormente in difetto e in colpa per qualcosa che non era dipeso affatto da lui.
Ormai io ero irrimediabilmente frantumato, frammentato in minuscoli pezzetti irregolari di cui alcuni arrotondati e smussati, come levigati dal tempo e dalla rassegnazione ed altri invece aguzzi, con angoli vivi taglienti come rasoi.
Non mi restava che sperare di trovare qualcuno che potesse essere il collante per riunirli tutti in un poliedrico insieme, certo che comunque non sarebbe mai stato come essere un unicum intatto.
Perché le cose rotte seppur riparate restano comunque fragili, come se conservassero in loro una memoria sempiterna delle loro crepe e venature.

Ad intervalli regolari di circa mezz'ora Tristan apriva la finestrella di controllo e lanciava una breve occhiata di circostanza all'interno, curandosi ogni volta di domandarmi se avessi bisogno di qualcosa.
Immaginai sorridendo lievemente che questo non fosse il trattamento abituale riservato ai prigionieri e questo insieme alle parole che mi aveva sussurrato mi permise di tollerare quella reclusione ingiusta, seppur temporanea.
Invece calò il buio e mio malgrado iniziai a dubitare di avere malinterpretato quelle poche parole sussurrate in vece di mio fratello o della sua buonafede.

Me l'aveva forse dette per blandirmi e contenere una mia reazione in inconsulta?

Scossi vigorosamente il capo per allontanare quei dubbi molesti ed infestanti, ancora certo che il mio gemello così fiero ed orgoglioso non l'avrebbe mai permesso.
Quando la luna fu alta nel cielo scuro come pece, l'uscio finalmente si schiuse cigolando pigramente sui suoi cardini.

"È finita"
mormorò Tristan apparendo nell'ombra con un lieve sorriso colpevole.

"In realtà, è appena iniziata.
So che c'è poco tempo Maiden,
ma ti devi preparare per l'esecuzione"
dichiarò Sephiroth con un ghigno malevolo comparendo enorme subito dietro di lui e facendomi cenno di seguirlo.

Gli rivolsi uno sguardo interrogativo ed esausto, ma non gli domandai nulla.
Se avessi dovuto subire un interrogatorio per tracciare e giustificare tutti i miei movimenti e discolparmi, mi sarei sottoposto senza battere ciglio anche se sarei stato intimamente deluso perché ero certo della fiducia che il mio fratello ritrovato riponeva in me, nonostante tutto.
Invece a quanto pareva sarei stato privato anche della possibilità di difendermi, di chiarire.
Evidentemente era stato già deciso che fossi colpevole e la mia condanna era stata già emessa, anche se non mi capacitavo di cosa pensavano avrei guadagnato dall'ordire la fuga di quel mostro infame.
Non lo avrei mai creduto possibile, ma a questo punto dovevo ricredermi perché era evidente che Draven avesse ceduto al dubbio che gli avevano instillato.
Tuttavia non ero arrabbiato con lui, affatto.
Ero solo molto triste di aver commesso quell' imperdonabile errore con Magdalena traviato dall'asprezza del mio passato e da tutte le emozioni represse e che il mio gemello, seppur diverso, non fosse stato in grado nonostante le sue doti proverbiali di andare oltre all'ovvio accettando la versione più scontata.
Ed ero amareggiato che non si fosse neanche preso la briga di comunicarmelo lui stesso che dovevo morire, ma a questo punto forse non importava più.
In fondo si trattava di un epilogo coerente di una vita corrotta già dal suo primo giorno.
Mansueto e rassegnato gli porsi i polsi per farmi ammanettare.
Sephiroth li scrutò qualche attimo e poi mi guardò senza capire, interdetto aggrottò le sopracciglia in un'espressione confusa ed interrogativa.

"Fratello,
l'esecuzione di cui Sephiroth sta parlando non è la tua"
affermò la voce di Draven, appena comparso sull'uscio della cella.
"Ti devi preparare all'esecuzione di colui che viene definito nostro padre, Cluddagh il Vichingo.
Se sei d'accordo naturalmente, ho deciso che spetti a te l'onore di chiudere finalmente il cerchio togliendo la vita a chi ha rinnegato la nostra"
mi spiegò lentamente.

Lo osservai fiero e nonostante la frase di Sephiroth potesse effettivamente essere fraintendibile, mi vergognai per aver avuto a mia volta dei dubbi.

"Ne sarò orgoglioso, fratello"
mi limitai ad affermare prima che la mia voce si rompesse dalla commozione.
Chinai il capo pentito e pieno di rimorsi per aver ceduto alla tentazione di equivocare la sua integrità.

Finalmente era giunto il momento della rivalsa e della nostra rinascita.
Era un peccato soltanto che nostra madre, altra vittima innocente dei suoi soprusi, non avrebbe potuto presenziare. Ma persino nel Regno degli Inferi ero certo che avrebbe potuto percepire nitidamente il momento esatto della sua dipartita da questo mondo e forse avrebbe potuto intercedere con Ade e Persefone per rendere infima e miserrima la sua vita dopo il trapasso.

"So che questo non ti restituirà in alcun modo ciò che di cui sei stato impropriamente privato, fratello.
So che questo non è e non può essere né una ricompensa né una compensazione, ma..."
disse con la voce esitante velata di amarezza e rimpianto.

"Non è colpa tua"
lo interruppi.
"Nessuno potrà mai restituirmi ciò che quell' infame mi ha tolto dal giorno stesso in cui sono venuto al mondo.
E non è compito tuo farlo, Draven"
lo rassicurai, ora improvvisamente calmo e pacato.
"Ho perso abbastanza tempo, fratello.
Abbiamo perso abbastanza tempo, entrambi.
Questa è la nostra occasione di ricominciare"
affermai con una nuova luce negli occhi.
Draven si diresse con falcate decise verso di me e mi abbracciò forte.
Mi strinse a lungo e si allontanò a malincuore dandomi qualche pacca sulla spalla.

"Sei tornato a casa, fratello mio.
E ora il Sacro Impero della Ruota è stato restituito al suo sangue originario e rifulgerà come ai suoi antichi albori"






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