30.

151 11 0
                                        


ECATE


Il sudore mi imperlò la fronte, con una rabbia cocente e sempre più crescente mi passai un braccio per scacciarlo dagli occhi, senza fermarmi a riposare continuai con la mia scalata. La roccia viva e frastagliata continuava a tagliarmi i palmi ad ogni passo, cercai di ignorare il dolore, odiavo quel luogo e odiavo ancora di più di non avere la possibilità di avere accesso ai miei poteri, ma dovevo salire fino alla cima, dove sapevo avrei trovato quello che stavo cercando.

Ce la dovevo fare, se avessi passato altri giorni nella mia casetta senza fare nulla, se non allenarmi con la spada e la magia, sarei impazzita.

Una settimana.

Solo un'altra settimana.

Tra una settimana avremmo avuto accesso per dodici ore al mondo umano; tra una settimana avremmo dovuto partecipare a quella ridicola cerimonia di presentazione dei lupi; tra una settimana avrei rivisto Thanatos.

Fissai la vetta con determinazione, mancava ancora parecchio, mi issai per un passo particolarmente difficile fino a raggiungere un punto in cui potei appoggiarmi con i piedi, senza il bisogno di sorreggermi completamente con le mani, presi diversi respiri, i polmoni mi bruciavano e le spalle erano talmente contratte da non sentirle più.

Quella montagna era una prova, solo chi fosse stato degno sarebbe riuscito ad arrivare fino alla cima, chi non lo fosse stato sarebbe salito per sempre senza riuscire ad arrivare mai. La roccia scura sembrava risucchiare tutta la vita e la poca luce presente, come se si cibasse di qualsiasi cosa viva e in particolare degli stolti decisi a sottoporsi a quell'impresa masochista.

Fino a quel momento non mi era mai venuto in mente di provarci. L'unico in grado di essere andato e tornato da quel luogo di morte e dolore era Ade, ma quando si era proposto, gli avevo ringhiato contro, avrei dovuto essere io a cercare le risposte, lui mi aveva sorriso sadicamente permettendomelo e adesso ne capivo il perché.

Mi ero trovata uno scopo e nessuno me l'avrebbe tolto.

Guardai nuovamente la vetta, in qualche modo sembrava più lontana, con i muscoli tremanti mi issai lungo il versante scosceso per continuare nella mia arrampicata.

Un solo passo falso e sarei caduta, il problema era sapere se sarei sopravvissuta, la montagna sarebbe stata implacabile anche nel suo giudizio sulla mia morte.

Non mi importava, nulla lo aveva da quando quella stronza maledetta si era portata via un pezzo della mia anima.

Mi ero illusa.

Mi ero illusa di poter avere davvero una qualche decisione da prendere, su di me, sul mio futuro, perché non vi era nessuna scelta per me. Dioniso si era sbagliato, almeno su quello, non ci sarebbe mai stata serenità in me senza di lui.

Lui era mio, io sua, ero stata completamente cieca davanti a quell'evidenza.

Il sangue scendeva dalle mani fin al gomito, bagnandomi la camicia bianca, l'avevo rubata dal guardaroba di Than la sera prima, quando le quattro pareti di casa mia mi stavano soffocando, quando senza rendermi conto ero andata fino al palazzo di Ade, avevo salito tutti i gradini, raggiugendo la guglia del Dio della Morte, la sua stanza era esattamente come me la ricordavo, una volta arrivata, esausta dopo settimane senza sonno, mi ero infilata una camicia del Dio ed ero svenuta nel suo letto.

Toccare il cuscino era stato l'inizio della fine e sentire il suo odore mi aveva trascinato nel baratro, soprattutto dopo quanto avevo saputo il giorno prima.

I ricordi mi invasero la mente stanca, facendomi compagnia nella mia scalata impossibile.


La sala del trono nel palazzo di Ade era ricoperta da pannelli di pietra lucida e nera, la luce riluceva attraverso essa dalle torce affisse alle pareti. Ombre scure uscivano e si allungavano dal sovrano dell'Oltretomba come se le riuscisse a trattenere a stento, come se riuscisse a trattenere a stento la rabbia.

La Strega e La MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora