Capitolo 4

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Leanna

«Lea! Sei ancora a letto?! Alzati, è tardissimo!»

Sentii la voce acuta di mia madre, e il suo modo violento di togliermi le coperte di dosso. Aprii gli occhi controvoglia, e sbirciai l'orario.

«È tardi! Sono le otto!» Mi alzai di colpo, «a cosa serve la sveglia se neanche suona?» Corsi avanti e indietro dal bagno alla camera per prepararmi. Presi un pantaloncino nero in jeans leggermente strappato, una maglietta a maniche lunghe bordeaux e indossai le converse dello stesso colore della maglia.

Per fortuna quel giorno c'era il sole, così evitai di mettermi la felpa, anche se la misi lo stesso legata in vita: il tempo faceva brutti scherzi. Presi lo zaino e il libro di letteratura sulla scrivania, e scesi in cucina. Rubai di fretta una fetta biscottata sul tavolo mettendomela in bocca tenendola con i denti, salutai mia madre e uscii di casa. Corsi fino alla fermata dell'autobus e notai che era appena passato.

«Oh, benissimo! Iniziamo bene!», alzai le braccia facendole ricadere sui fianchi duramente. Sarei dovuta andare a piedi, e sicuramente avrei saltato la prima ora.

C'era letteratura con la professoressa Leslie: una donna alta, con capelli castani corti fino alle orecchie; occhiali grandi e indossava sempre dei jeans, mai gonne e mai abiti. Era gentile solo quando non si trattava della sua materia o quando facevamo tutto ciò che ci chiedeva in modo corretto, come ad esempio un compito o un'interrogazione. Non accettava ritardi e giustificazioni di nessun tipo. E lei non era per niente comprensiva, il mio ritardo non lo avrebbe assolutamente preso bene, anzi.

«Devo assolutamente comprare una macchina!» Tirai un calcio a un sassolino sbuffando.

«Già arrabbiata di prima mattina?»

Riconobbi subito la voce senza neanche girarmi per vedere chi fosse: Gabriel. Alzai gli occhi al cielo e mi voltai a guardarlo.

«Ancora tu?! Non capisco, sono io che non mi spiego bene, o sei tu che non capisci niente di quello che dico... ti avevo esplicitamente chiesto di starmi lontano!» Incrociai le braccia squadrandolo in mal modo.

Era appoggiato al tronco di un albero e mi fissava dalla testa ai piedi. Portava un jeans nero e una maglietta a maniche lunghe grigio scuro, e notai che era vestito proprio uguale al mio sogno. Aggrottai la fronte e lo fissai perplessa.

Era veramente strano.

«Che hai da guardare?» Sbuffai. Era come se ogni volta il suo sguardo mi studiasse a fondo.

«Ammiravo», sorrise.

Lo evitai facendo finta di niente e mi voltai iniziando a camminare.

«Se vuoi, posso darti un passaggio. Sai, credo che se vai a piedi farai tardi alla lezione»
Sentivo i suoi occhi sulla mia schiena.
«Non ho bisogno del tuo aiuto», continuai a camminare senza guardarlo.
«Come vuoi. Ci vediamo a scuola allora».

Mi voltai e vidi che andò alla macchina, si mise al volante e chiuse la portiera rimanendo ad aspettare. Aveva una Range Rover nera, che era una macchina davvero bella e molto costosa, e in qualche modo sapeva che sarei salita e quello me lo fece detestare ancora di più.

Perché tra tutti era proprio lui quello che poteva aiutarmi in quel momento?

Roteai gli occhi e sospirai pesantemente. Feci uno sforzo accettando il suo aiuto, e salii in macchina. Dovevo arrivare in tempo per la lezione, non avevo altra scelta.

«Accetto solo perché non posso fare tardi», lo fissai con aria minacciosa, «ma non mi rivolgere la parola».
Sorrise e annuì con la testa. Il mio atteggiamento era uguale a quello di una bambina dispettosa, ma non m'importava perché non volevo davvero parlare con lui. Mi voltai e guardai fuori dal finestrino.

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