Capitolo 7

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Leanna

Mi svegliai all'improvviso per colpa del cellulare che suonò; lo presi dal comodino staccandolo dalla carica.

«Pronto», sussurrai ancora addormentata. Rimasi con gli occhi chiusi tenendo la testa sotto il cuscino.

«Leanna Ellis, dove sei?!» Abby strillò con tale foga che dovetti allontanare il cellulare dall'orecchio. Era furiosa e si sentiva una gran confusione.

«No, dove sei tu?!» Mi tolsi da sotto il cuscino e mi sfregai gli occhi, rimanendo al caldo sotto le lenzuola.

«In un posto dove dovresti esserci anche tu: a scuola!»

«A scuola?!» Mi alzai di scatto guardando la sveglia. Erano le dieci e un quarto: "non mi sono svegliata... quanto ho dormito?" Pensai, grattandomi la testa e ributtandomi sul cuscino: ormai era troppo tardi.

«Come mai non sei venuta?»

Per un attimo mi dimenticai di essere al telefono con Abby, e all'improvviso la sentii urlare contro qualcuno per farli zittire: allontanai nuovamente il cellulare.
«Non ci crederai, ma sono ancora a letto. A quanto pare mia madre non mi ha svegliata, e mi ha lasciata a casa, visto che oggi è sabato». Non avevo voglia di alzarmi, così rimasi a letto.

«Anche io voglio tua madre come madre!» Sbuffò e finse di piangere: «E comunque, mi hai lasciata da sola e questa te la faccio pagare!»

«Mi farò perdonare»

«Devo andare, c'è educazione fisica: non ho voglia! Ti chiamo dopo, ciao!» Chiuse di colpo la chiamata senza darmi modo di replicare, e sicuramente era entrato il professor Kimball in palestra.

Mi stiracchiai e mi rigirai nel letto abbracciando il cuscino. Ero davvero contenta di aver saltato educazione fisica, non avevo proprio le forze per fare sport e neanche di subirmi il professore che ci spiegava il baseball.

Decisi di alzarmi dopo mezz'ora, andai in bagno buttandomi sotto la doccia; indossai i pantaloncini grigi sportivi, la maglietta a maniche corte bianca, e la felpa uguale ai pantaloncini. Raccolsi il telefono sul letto e scesi in cucina.

La casa era vuota: mia madre era a lavoro, e mio padre sicuramente a giocare a tennis con gli amici. Era uno sport che, a detta sua, lo rilassava non facendogli pensare a niente; uno svago dopo una settimana di duro lavoro. Mio padre era il presidente di un'azienda di marketing per nuovi progetti e creazioni, dove lo tenevano parecchio fuori città, e per questo lo vedevo di rado.

Accesi lo stereo a tutto volume e aprii il mobile della cucina prendendo una brioche alla marmellata, accompagnata da un succo all'ace. Quella sera mi ricordai che sarei dovuta andare con Spike fuori a cena, non ne avevo voglia, ma glielo avevo promesso e sarei stata scortese ad annullare, soprattutto all'ultimo momento.

Mi misi a sedere sulla poltrona fuori in veranda, facendomi accarezzare da un sole magnifico; appoggiai il succo sul tavolino e mi rilassai. Rimasi a guardare le macchine che passavano e le persone che passeggiavano. Notai i bambini che giocavano nei propri giardini contenti e pieni di energia, mi venne da sorridere e pensai a quanto fosse stato bello ritornare piccoli. In quegli anni della vita dove non esistevano i problemi, dove si era sempre felici per qualsiasi cosa, dove si litigava e bastava stringersi il mignolo per fare pace.

Mi venne in mente Gabriel, e ripensai alla nostra discussione. Chissà dov'era...

Si fecero di colpo le sette di sera: la giornata passò tranquillamente. Non avevo fatto granché, ero rimasta a casa a guardare la tele e a studiare la ricerca di chimica per l'interrogazione che mi aspettava lunedì. Guardai l'orario e vidi che era tardi, Spike sarebbe passato a prendermi alle otto e mezza e dovevo ancora prepararmi.

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