Capitolo 6

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Leanna

Arrivammo a casa mia e Spike spense la macchina.
Presi lo zaino dietro il sedile e la busta con dentro l'abito.

«Grazie per oggi, e anche per il vestito, mi sono proprio divertita», sorrisi e restai a guardarlo.
«Anche io, sono stato veramente bene», mi prese la mano e l'accarezzò, «ci vediamo domani a scuola», si portò la mano alla bocca e me la baciò.
«Quanta galanteria», risi mascherando il disagio di quel gesto. «A domani Spike», scesi dalla macchina ed entrai in casa.

«Sono arrivata!» Appoggiai lo zaino sulla sedia in cucina e la busta sul tavolo, aprii il frigorifero e presi l'acqua.

«Ciao tesoro, quando sei arrivata?» Mia madre uscì dalla camera da letto con in testa l'asciugamano.

La litigata del giorno prima era come se non fosse mai avvenuta, la sua voce era ritornata come quella di sempre, e di questo ne ero molto felice.

«Sono appena arrivata»

«Non ti ho sentita, ero sotto la doccia; allora, com'è andata, ti sei divertita?» Era entusiasta, lo era già da quando le avevo anticipato che probabilmente sarei andata al centro commerciale con Spike. Le piaceva molto e ogni volta sperava che diventasse il mio ragazzo.

«È stato un pomeriggio davvero divertente», le sorrisi sentendomi spensierata, «ho provato anche un abito stupendo, e Spike me lo ha comprato dicendomi che lo dovrò indossare sabato sera: mi porta fuori a cena»

Spalancò gli occhi emozionata: «davvero?!» Sembrò una ragazzina, era come se stessi parlando con Abby, e quello mi fece sorridere. «Voglio vedere il vestito», si avvicinò, sistemandosi meglio l'asciugamano sui capelli.

Presi la busta, tirai fuori l'abito e me lo appoggiai sopra.

«È una favola! Finalmente ti vedrò con qualcosa di adeguato, invece che sempre i soliti jeans», toccò il tessuto. Era proprio uguale a me, stesso sangue non mente.

«Esagerata! Non indosso soltanto i jeans, ma anche i pantaloncini», ironizzai e le feci l'occhiolino, «vado in camera che devo studiare», presi tutta la mia roba e salii le scale.

«Appendi l'abito, se no si rovina!» Urlò dal piano di sotto.

Entrai in camera e mi chiusi la porta alle spalle, appoggiai lo zaino a terra e appesi l'abito nell'armadio. Mi cambiai mettendo i pantaloncini da ginnastica neri dell'Adidas, una canottiera nera, e la felpa. Presi il libro di letteratura e iniziai a leggere I Promessi Sposi, e dopo quindici minuti, a rileggere la stessa pagina, chiusi il libro: non riuscivo a concentrarmi. Pensai a Gabriel, a come gli stava l'abito, al suo petto nudo, e a come mi aveva guardata prima di sparire nel nulla.

«Esci dalla mia testa!» Sbuffai e appoggiai la fronte sulla scrivania. Non lo sopportavo, odiavo il modo in cui mi guardava, odiavo quando mi parlava e odiavo il suo comportamento.

Uscii fuori sul terrazzino, sedendomi su una poltrona in vimini con un cuscino bianco morbido; mi accovacciai tenendomi con le braccia le gambe, e appoggiai il mento sulle ginocchia. Erano le sette e mezza e il cielo stava iniziando a scurirsi, il sole stava sparendo, lasciando così il posto alla luna. Incominciò leggermente a vedersi qualche stella, e sembravano delle lucciole sparse qua e là.

«Perché c'è qualcosa in lui che mi attrae?» Sussurrai rimanendo a guardare il cielo.

«Leanna!»

Sentii una voce forte e sensuale, che riconobbi subito, urlare il mio nome. Mi alzai velocemente dalla poltrona e corsi alla ringhiera.

«Gabriel?! Cosa ci fai qui?!»

Spalancai gli occhi incredula: era nel mio giardino. Indossava un pantalone nero della tuta e una maglietta verde scuro, ed era bellissimo anche in versione sportiva, cosa che mi fece irritare.

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