Capitolo 16

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Gabriel
(Il passato di Gabriel)

«Gabriel? Derrien ti sta aspettando», mi voltai verso la porta e vidi uno schiavo che avevo già visto con Derrien.

Mi voltai per l'ultima volta verso Raphael e vidi che se ne andò indifferente. Il suo comportamento mi provocò una strana angoscia. Stavo male e sapevo che lui stava anche peggio di me, ma non avevo tempo per risolvere i nostri problemi, e in quel momento non mi andava neanche. Salutai tutti e seguii lo schiavo.

Entrai nello studio di Derrien, che ormai conoscevo a memoria per tutte le volte che ero andato lì. Trovai Ailis seduta sul divano che fissava il pavimento, Derrien in piedi che guardava fuori dalla finestra e due schiavi accanto alla porta, con le braccia incrociate e la schiena dritta come un tronco d'albero.

«Derrien cosa vuoi adesso?» Tuonai freddamente. Volevo solo essere lasciato in pace, restare solo per qualche giorno. In sole poche ore avevo avuto più problemi di chiunque altro.

Derrien venne velocemente verso di me, si fermò a un centimetro dalla mia faccia fissandomi intensamente, e mi tirò un ceffone, con tale forza da farmi girare il viso. Mi salii la rabbia e lo presi dal collo, portandolo contro la finestra.

«Non ti azzardare mai più a toccarmi! Non sono uno dei tuoi burattini che tratti come cazzo vuoi!» I miei occhi si fecero taglienti, più delle mie parole. Sentii il corpo andare a fuoco, tanto da stringere con più forza la presa al suo collo.

Gli schiavi si avvicinarono.

«Fermi!» Derrien sussurrò guardandomi, «sei andato a letto con mia sorella, dimmi, con che coraggio mi chiedi di non fare ciò che ho fatto? Come posso continuare a considerarti migliore, e a trattarti diversamente dagli altri?» Avvicinò il viso al mio, «sei solo uno schiavo dell'inferno, Gabriel, niente di più! Da ora in poi, verrai trattato come tutti e quando dirò qualcosa dovrai obbedire in silenzio!» Mi guardò con disprezzo, e delusione, senza togliere lo sguardo dai miei occhi.

Non gli importava realmente che fossi stato con sua sorella, anche perché Ailis per lui non era niente, ma il tradimento lo stava annientando. Appartenevo solo a lui e lo avevo appena pugnalato. Mi prese la mano dal collo e me la tolse. Non feci resistenza e glielo lasciai fare.

Si spostò e andò a sedersi sulla poltrona.
«Sai, Gabriel, ho perso solo tempo con te. Pensavo fossi diverso, ma mi sbagliavo: sei peggio di qualsiasi schiavo mai esistito! Provo solo pietà per uno come te, sei solo una bestia che corre dietro alla sua preda, qualcosa di inutile e patetico»

Lo fissai e sentii tutte quelle parole incidersi sulla mia pelle, come cicatrici. Guardai Ailis e vidi che era rimasta immobile tutto il tempo, seduta nella stessa posizione. Andai verso la scrivania, appoggiai i pugni su di essa e guardai Derrien negli occhi.

«Sai cosa penso, Derrien? Ti pentirai di tutte queste parole. Tu non sai stare senza di me, ti è impossibile! So cosa provi... e visto che ora sono come tutti gli altri, non ti appartengo più e ho il diritto di fare quel cazzo che voglio», strinsi le mascelle, «ora guardami, fallo attentamente, Derrien, perché questa sarà l'ultima volta che vedrai il mio volto».

Entrai nella sua testa e vidi quanto fosse stata scossa dalle mie parole. Lessi il dolore, la rabbia e il timore. Si pentì delle sue parole, proprio perché sapeva che mi aveva appena perso, e non c'era cosa che potesse procurargli più agonia.

Andai verso la porta, ma l'orgoglio e la cattiveria che scorreva nel mio sangue, mi fermò: «Avresti dovuto vederla mentre godeva e urlava il mio nome», sorrisi maliziosamente, istigandolo ancora di più, e uscii dalla stanza sbattendo la porta.

Camminai per il corridoio a testa alta con il sangue che ribolliva. Sentii le urla di Derrien, e la cosa riuscii solo a divertirmi. Non sapevo perché tutto quello gli desse così fastidio, pensavo fosse solo per gelosia, ma era alquanto strano e non mi sembrò fosse solo quello il motivo. Non dopo la sua reazione. C'era sicuramente qualcosa sotto, ma non mi importava più saperlo. Non mi importava neanche più di lui.

◆◆◆

La mia stanza mi sembrò vuota, o forse ero io a sentirmi così. Potevo andare via da quel castello e iniziare in un'altra città, affrontare qualcosa di nuovo, ma anche se quel pensiero mi entusiasmava, non potevo farlo. Il castello a Londra di Derrien doveva diventare mio. Dovevo farlo strisciate ai miei piedi, farlo supplicare pietà per l'eternità.

Sorrisi a quel pensiero e mi buttai sul letto, fantasticando su ciò che mi sarebbe aspettato, cercai di addormentarmi così da recuperare le energie per la notte seguente.

«Gabriel!»

Mi alzai di scatto dal letto. Ero tutto sudato e le lenzuola erano bagnate. Avevo fatto un sogno davvero strano: una donna che urlava il mio nome.

Mi guardai attorno, sentendomi una sensazione insolita dentro. Il viso di quella donna era la perfezione, niente di più bello mai visto sulla faccia della terra, i suoi occhi brillavano come diamanti al sole, la sua bocca carnosa mi aveva provocato una sensazione di desiderio, i suoi capelli lunghi fini come seta e la sua voce... dannazione, la sua voce era sensuale, così misteriosa da mandarmi fuori di testa.
Era una visione soprannaturale, un essere mai visto fino ad ora.

Mi alzai andando in bagno e aprii l'acqua lavandomi la faccia. Tornai in camera e presi il telefono sulla scrivania, erano appena le quattro di pomeriggio, così tornai a letto e mi riaddormentai. Mi trovai in ginocchio in un bosco guardare il tramonto, una cosa improbabile per uno schiavo dell'inferno, ma mi trovavo proprio lì, davanti a quella bellezza. Gli alberi erano di un verde acceso, pieni di vita e di un'energia inebriante.

L'erba era fresca e la sentii sotto i miei piedi nudi, i fiori odoravano di un miscuglio di profumi: lavanda, gelsomino e vaniglia. Mi faceva sentire in un posto chiamato casa, protetto da un mondo pericoloso. Libero. Non sapevo dove mi trovassi. Non sapevo neanche come fossi arrivato lì.

«Gabriel! Vieni»

Sentii quella voce. Mi voltai di scatto vedendola proprio davanti a me. Ingoiai agitato e la scrutai. Portava un lungo abito bianco, che le scendeva fino ai piedi, i capelli sciolti biondi lunghi fino al sedere svolazzavano, i suoi occhi azzurri, limpidi come il mare in un giorno d'agosto, brillavano. Le labbra di un rosa scuro con sfumature di rosso, mi davano una voglia matta di voler scoprire il loro tocco sulla mia pelle. Guardai la sua carnagione che la rendeva regale, chiara come le nuvole. Non riuscivo a descrivere la sua bellezza, sembrava fosse proprio la regina del cielo. Un incanto divino. Rimasi a fissarla, incapace di muovermi. Stregato dalla sua presenza.

«Chi sei?» Desideravo sapere chi fosse, perché sapevo che non l'avrei dimenticata.

Sorrise e mi fissò con tale forza che sembrò mi stesse penetrando l'anima dannata. Non distolsi lo sguardo da lei, neanche per un secondo, ne ero assolutamente imprigionato.

Mi svegliai di scatto ritrovandomi nel letto: l'avevo sognata ancora, ma sembrò più reale. Mi vennero i brividi. Era come se fosse stata veramente davanti a me.

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*nota autrice*
A seguire la seconda parte del capitolo

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