Capitolo 12

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Gabriel
(Il passato di Gabriel)

«Gabriel! Gabriel! Apri!»

Qualcuno bussò alla porta con tale forza da svegliarmi, una cosa che mi fece alquanto innervosire. Mi alzai dal letto, andai verso la porta e l'aprii. Era Dunla: una schiava dell'inferno.

Aveva le treccine rosse raccolte in una coda alta, il solito cinturino in acciaio sulla fronte, e l'ombretto nero che faceva sembrare i suoi occhi rossi ancora più malvagi e profondi.

Guardai le sue labbra carnose, che mi provocarono il desiderio di morderle e sentirle sul mio corpo.

La scrutai e vidi che indossava solo una vestaglia lunga nera aperta, dalla quale si intravedeva un reggiseno e uno slip nero con disegnate delle fiamme rosse. Il suo corpo snello e definito era semplicemente uno spettacolo, tanto da risvegliare qualcosa in me.

«Non mi fai entrare?» Sorrise ammiccando in modo malizioso, e si appoggiò allo stipite provocandomi.

«Entra», indicai la stanza dandole il benvenuto.

Si sdraiò sul letto e mi fece segno di raggiungerla. Mi leccai le labbra e andai verso le sue gambe iniziando a baciarle, sentendo il profumo della sua pelle; anche volendo non sarei riuscito a resisterle. Salii di più, fino ad arrivare sul suo seno caldo e sensuale. Ogni parte di me la desiderava.

Mi prese il viso e mi condusse fino alla sua bocca, facendomi sentire il suo respiro.

«Quanto mi eccita quando vedo la passione dominarti!» Sorrise inebriata di piacere, e capii che i miei occhi, rossi come il sangue, le manifestarono il mio desiderio.

◆◆◆

Il giorno passò velocemente e mi svegliai nudo nel letto. Mi voltai per vedere Dunla, ma non c'era più: aveva soddisfatto le sue voglie e se ne era andata.

Rimasi sdraiato e guardai fuori dalla finestra: stava diluviando e le nuvole erano grigie, la luna illuminò il mio viso, dando così il buongiorno a noi schiavi dell'inferno. Non eravamo dei vampiri, e il sole non ci bruciava, ma eravamo creature del male, nate e vissute nell'oscurità.

Decisi di alzarmi, e andai in bagno a fare una doccia bollente, proprio come l'amavo. Mi buttai dentro e rimasi un paio d'ore a sentire il tocco di quelle gocce delicate sulla mia pelle. Uscii dal bagno e andai davanti all'armadio, indossai un paio di jeans neri e una canotta nera; uscii dalla stanza e raggiunsi gli altri in sala pranzo.

Il corridoio era vuoto, e la maggior parte degli schiavi sicuramente stava ancora dormendo, così scesi le scale e proseguii in un altro corridoio lungo e senza finestre, buio come l'oscurità, come la mia anima.

Entrai nella sala pranzo e non trovai nessuno: c'erano più di cinquanta tavoli non occupati, il bancone del mangiare vuoto, e il silenzio che regnava sovrano.

Mi sembrò strano, ed era impossibile che tutti gli schiavi fossero ancora a dormire... era successo sicuramente qualcosa.

Mi diressi nella sala divertimento, dove si trovava il tavolo da biliardo, il tavolo da poker e il bar degli alcolici: un posto di svago per noi schiavi. Aprii la porta ed entrai, e anche lì regnava il silenzio. Mi guardai attorno: tutto era pulito, le stecche da biliardo appese in ordine, le carte nel contenitore, e le bottiglie piene nello scaffale. Iniziai a stupirmi e non riuscii a capire cosa stesse accadendo, si erano polverizzati tutti.

In un castello enorme, dove abitavano più di mille schiavi, ero rimasto solo.

Corsi per il corridoio, salii in camera di Raphael, spalancai di colpo la porta e notai che nel suo letto non c'era; controllai in bagno, ma nessuna traccia di mio fratello, e così iniziai ad agitarmi. Lui era sempre a letto, era pigro e prima delle nove non si alzava mai, dove poteva essere?

Oltre le aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora