Capitolo 22

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Gabriel
(Il passato di Gabriel)

Il sole abbagliante mi svegliò.

Mi sentii stordito ed esausto. Aprii gli occhi lentamente e i raggi si posarono sul mio viso. Mi spaventai pensando che gli occhi potessero bruciarmi, così li chiusi rapidamente e con la mano cercai di farmi buio coprendo la finestra.

«Non ti bruceranno gli occhi, Gabriel». Sentii una voce provenire dietro le mie spalle.

Tolsi la mano e aprii gli occhi. Il sole mi entrò dentro le pupille, il suo calore mi riscaldò e la bellezza della sua luce mi incantò. Per la prima volta stavo osservando quell'immagine stupenda. Non riuscii a distogliere lo sguardo, e sentii una lacrima bagnarmi la guancia. Mi ero nascosto per troppo tempo nel buio della notte, che tutta quella meraviglia non mi sembrò possibile. Quasi fosse frutto della mia immaginazione.

«Immagine incantevole, vero?» Arphy si avvicinò posando la mano sulla mia spalla.

«Qualcosa che mi sono perso per molti secoli...», guardai il sole.

«Sarai sicuramente affamato: andiamo», camminò verso la terrazza. Lo guardai rimanendo ancora seduto a terra, senza riuscirmi ad alzare, o forse senza volerlo fare. Arphy si voltò verso di me: «Che fai, non vieni? Credimi, ci sono ancora tante cose altrettanto meravigliose da scoprire», mi fece cenno di seguirlo e uscii.

Feci un lungo respiro, mi alzai e lo seguii. Arrivai in terrazza e vidi un tavolo rotondo bianco, colmo di delizie, così tante che non seppi da dove cominciare. C'era tutto e di più: crostate di marmellata, pane con il burro di arachidi, biscotti di cioccolato, biscotti a forma di foglia al cocco, succo, caffè, acqua, latte... e non era finita. C'erano anche le torte: alle more, alla crema, al cioccolato... ero sbalordito! Spalancai gli occhi e rimasi a bocca aperta davanti a tutto quel belvedere.

«Serviti pure», Arphy si mise a ridere, notando la mia espressione sbalordita, e mi fece segno di sedermi davanti a lui.

Eravamo faccia a faccia, proprio come il giorno prima, ma fortunatamente in una circostanza più gradevole. Non sentii neanche un briciolo di fame, volevo solo delle risposte a tutte le mie domande.

«Chi è quella donna? Continuava ad apparire ovunque, sia nei sogni che nella realtà. Non potevo muovermi, c'era sempre qualcosa che mi bloccava, impedendomi di andare da lei. Perché? Lei mi...»
«Rallenta!» Mi bloccò con la mano. «Calma, Gabriel!» Sorrise e prese un biscotto al cocco: «Questi sono davvero buoni, dovresti assaggiarne uno».

Non riuscii a capire il motivo del suo comportamento schivo, era come se non volesse darmi le risposte che tanto stavo cercando.

«Non ho fame, voglio solo sapere chi è quella donna!» Mi alzai di scatto e andai alla ringhiera. Appoggiai le mani su di essa e guardai il panorama. C'era un prato verde curato nel dettaglio con amore, e i fiori accarezzavano i suoi fili d'erba donando colore.

Al centro, in tutta quella bellezza, c'era una fontana di un'altezza smisurata con in mezzo una statua in pietra. Era un angelo con i capelli lunghi fino ai piedi e una tunica maestosa che lasciava scoperta la spalla sinistra. L'espressione sul volto era dolce, piena di bontà, e guardava ai suoi piedi dove c'erano altre piccole statue. Osservai e vidi che non erano angeli, bensì umani: dei piccoli bambini con capelli ricci e con un sorriso tanto grande quanto il sole. Non potevo spiegarmi se quell'angelo fosse una donna o un uomo, riuscivo solo a percepire l'amore che avvolgeva il suo essere. Quella statua rappresentava al meglio la bontà, aveva qualcosa di veramente speciale da stregarmi.

«Ah, ecco perché non rispondi!» Arphy sorrise posando gli occhi sulla statua.
Trasalii dai miei pensieri, ritornando concentrato.
«Cosa rappresenta? Chi è?»
«E' l'amore, la speranza, la protezione, la purezza, la verità...», appoggiò le mani sulla ringhiera e si voltò a guardarmi. «Rappresenta ciò che siamo». La sua voce arrivò come un canto di un usignolo: perfetta e dolce.

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