Capitolo 17 (parte due)

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Gabriel
(Il passato di Gabriel)

Arrivai al castello, mi tolsi i vestiti e li buttai nella vasca da bagno, aprii il rubinetto e feci scivolare l'acqua su di essi, sperando che potesse togliere tutto quel sangue.

Non avevo mai provato quella sensazione, in me non c'erano mai state emozioni e per la prima volta le stavo provando: era come se il mio corpo fosse cambiato.

La mia anima mi stava chiedendo altro.

Dopo essermi messo una tuta nera, andai in terrazza, mi appoggiai alla ringhiera e guardai all'orizzonte. Pensai a tutto ciò che era appena successo, a tutto il male che in passato avevo fatto, ricordando i volti di tutti gli umani che mi avevano chiesto pietà senza fermarmi, così da ucciderli.

Ero uno spietato assassino, uno schiavo dell'inferno. Ero nato dal male, dall'oscurità, dal fuoco. Che cosa mi stava prendendo? Perché sentivo che non mi apparteneva più? Non era la mia vera natura, non lo era più. Dovevo andare via da lì.

Subito!

«Cosa cazzo ti è preso?! Sei impazzito?!» Raphael arrivò.

Non mi voltai e rimasi a guardare il cielo.

«Gabriel!» Mi prese dal braccio voltandomi: eravamo faccia a faccia. Vidi gli occhi neri di mio fratello e percepii la sua violenza dentro di me. «Hai urlato contro di noi», mi fissò con uno sguardo intenso, «sei uno schiavo dell'inferno, come cazzo hai potuto?!» Le vene del collo si gonfiarono e il viso gli diventò tutto rosso.

Era mio fratello, in lui c'era il male e lo amavo anche dopo tutto il dolore che aveva provocato, proprio come perdonavo me stesso per ciò che avevo fatto. E sapevo che anche lui mi amava, per questo ero sicuro che avrebbe accettato e rispettato la mia scelta.

«Me ne vado, Raph», rimasi a fissarlo. Non disse niente e non capii la sua reazione. Entrai nella sua mente per scoprire i suoi pensieri, ma non ci riuscii e sicuramente era colpa di qualche incantesimo di protezione. La sua espressione era fredda, distaccata, e non lo riconobbi.

«Te ne vai?!» Alzò le sopracciglia, «e dove?!» Si tirò indietro i capelli e andò a sedersi sulla sedia, «se ti sei annoiato qui, posso capirlo. Se è questo il problema, andiamo ovunque tu voglia! Possiamo andare a sterminare qualche altra città, anche io mi sono stancato di stare qui: è diventato tutto così monotono», appoggiò le gambe sul tavolino e si stiracchiò «Possiamo andare a Las Vegas, a Berlino, ad Amsterdam... ovunque vogliamo», si mise a ridere e si alzò dalla poltrona, «vado a prendere la mia roba e partiamo subito»

«No! Aspetta!»

Si voltò scrutandomi con uno sguardo perplesso.

«Me ne vado, da solo», respirai profondamente: non gli sarebbe piaciuto per niente. «Raph, ti lascio, lascio tutti... non è più il mio posto qui», tolsi lo sguardo e pensai alle parole giuste da dire.
«Ma, cosa stai dicendo, Gab?!» La voce gli tremò e mi guardò come se lo avessi appena pugnalato.

«Abbandono gli schiavi dell'inferno!» Sputai di colpo.

Vidi i suoi occhi diventare di un nero con sfumature rosse: un colore che non avevo mai visto. Dalla sua espressione capii che se avesse potuto uccidermi, lo avrebbe fatto, senza neanche farmi soffrire. Rimase in silenzio, immobile a fissarmi.

«Cosa cazzo fai?!» All'improvviso scoppiò, «mi lasci?! Lasci me: la tua famiglia, la tua casa?!» Si avvicinò di qualche passo, «e per andare dove, Gabriel?! Dimmi! Per andare dove?! Forza!» La sua voce mi penetrò violentemente, scendendo nel mio cuore.

«Il trono degli arcangeli».
Riuscivo a vedere il dolore che lo stava uccidendo, che lo stava rendendo instabile, completamente pazzo.
Sorrise. Il suo sguardo diventò veramente crudele, e le sue ali iniziarono a battere senza controllo. Stava per esplodere.

«È uno scherzo», si mise a ridere, «è un maledetto scherzo!» Ringhiò e scattò prendendomi per il collo. Mi trascinò contro il muro, tenendomi in alto e stringendo sempre di più. Sentivo tutta la rabbia e il dolore dell'abbandono sul mio collo. «Tu mi lasci, per i nostri nemici?!» Sbraitò a un centimetro dalla mia faccia. Tirò un pugno sul muro rompendolo. Vidi una lacrima cadere sulla sua guancia uscire e spalancai gli occhi: era impossibile! Si pulì velocemente con la mano insanguinata.

«Vieni con me: io e te per sempre, Raph!» Era mio fratello, ci eravamo promessi di stare insieme, qualsiasi cosa fosse accaduta. Doveva seguirmi, si poteva salvare, poteva rinunciare ad essere una bestia: un figlio del male. Esattamente come stavo rinunciando io.

«Venire con te?!» Era stupefatto dalle mie parole. Mi prese ancora con più forza e mi lanciò per terra, «hai fatto la tua scelta, Gabriel, ora devi pagarne le conseguenze», si voltò dandomi le spalle.

«Raph, sei mio fratello!» Mi sentii sprofondare negli abissi.

«No! Non siamo più fratelli, hai preferito il nemico, a me!» Si irrigidì e mi guardò: il suo sguardo diventò freddo ed estraneo. «Magari un giorno ci rivedremo: ti avrò davanti in una guerra, e ti posso assicurare che non avrò nessuna pietà», strinse le mascelle con sguardo feroce e se ne andò.

Caddi in ginocchio: lo avevo perso. L'unica certezza della mia esistenza era appena sparita. Non gli importò niente di me, si sentiva tradito, abbandonato, e alla fine era ciò che avevo fatto. Lo avevo pugnalato nel modo peggiore. E se un giorno ci fosse stata una guerra e ci saremmo trovati faccia a faccia, lui non si sarebbe fatto problemi ad uccidermi come un estraneo, come un suo nemico, come una preda.

Entrai nella mia stanza, non presi niente, solo una giacca in pelle nera e il ciondolo con due schiavi abbracciati, che rappresentavano l'unione tra me e Raphael. Non potevo lasciarla lì, lui sarebbe rimasto per l'eternità mio fratello, anche dopo tutto quello che era successo quella notte. Era ora di andare via da lì, di dimenticare quel mondo e cancellare l'oscurità che mi aveva accompagnato fin dalla nascita.

Andai nell'armadio e rimasi immobile a guardare per l'ultima volta la mia spada: quella lama che aveva assaggiato il sangue di tanti umani. Notai che era brillante, e sapevo quanto fosse tagliente: era il potere e la forza, la crudeltà e il dolore. Dovevo abbandonarla, far sì che potesse rimanere solo un ricordo. Chiusi l'armadio sbattendolo, e appoggiai la fronte su di esso, feci un gran respiro e uscii dalla stanza senza voltarmi indietro.

Il corridoio mi sembrò più lungo del solito, le pareti sempre più fredde, e il tappeto rosso come il sangue mi fece mancare l'aria. Ad ogni metro c'era una porta: erano le stanze degli schiavi. Le guardai continuando a camminare, sperando di non incontrare nessuno e di uscire al più presto dal castello.

Dopo quattro corridoi, che sembravano non finire mai, arrivai davanti al portone: era in acciaio con delle assi anch'esse in acciaio che la bloccavano, alto più di tre metri. Aveva dei ritagli di segni antichi, con una scritta in latino: "Corvi et gladius diabolo". Ciò che in quel castello viveva sotto forma di lui.

Mi voltai a guardare un'ultima volta la porta della sala divertimento. Dentro sicuramente ci sarebbero stati tutti: Isiah, Jannah, Loyd, Dunla, Raphael... tutto ciò che definivo famiglia, era dentro quella sala. Feci un respiro profondo e tornai a guardare avanti. Uscire da quel portone voleva dire diventare un nemico degli schiavi dell'inferno, un nemico di mio fratello, sarei diventato la loro preda, proprio come gli umani.

Guardai l'immenso giardino che tanto mi piaceva, sentendo dietro le mie spalle il grande e possente portone fare un boato nel chiudersi. Respirai per l'ultima volta l'aria di quel posto, e senza pensarci due volte aprii le ali e volai su nel cielo, lasciandomi dietro ad ogni battito di ala una vita di odio, disprezzo, dolore, sangue e oscurità.

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*nota autrice*
Domani pubblicherò un nuovo capitolo ❤️‍🔥

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