Capitolo 20

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Gabriel
(Il passato di Gabriel)

Mi svegliai di colpo e mi guardai attorno.
Ricordai di essermi fermato in una grotta a riposare durante il giorno, per poi riprendere a volare durante la notte.

La luna splendeva e mostrava la sua luce anche dentro quel covo fatto di roccia scura e fredda. Mi alzai e sentii lo stomaco vuoto. Avevo fame, erano tre giorni e due notti che non toccavo cibo. Non avevo avuto tempo di mangiare da quando ero scappato dal castello, scendevo sulla terra ferma di giorno solo per nascondermi dal sole, e per riposare.

Il sole ci dava fastidio, faceva bruciare i nostri occhi, che avevano la luce del nero, la luce del male. Ci rendeva deboli e ci causava dolore fisico, e a volte era insopportabile, altre solo fastidioso.

Camminai per ore prima di riprendere a volare, cercai qualcosa da poter mangiare. Ero nel bosco, circondato da alberi alti e pieni di foglie verdi, i rami erano spessi e gli uccelli si posarono su essi. Era pieno di fiori ovunque: margherite bianche come la neve, fiori blu che avevano i petali a forma di cuore, fiori viola con sfumature lilla e bianche che si chiudevano a guscio, foglie verdi a forma di petali con piccoli fiori attaccati di color fucsia.

Vidi dei fiori bianchi con petali lunghi che cadevano in giù, e infine notai delle meravigliose rose blu con sfumature azzurre, qualcosa che mi sembrò così raro e stupendo. Mi inginocchiai e ne strappai una: l'osservai e ricordai i suoi grandi occhi azzurri.

Quella donna aveva cambiato qualcosa dentro di me, tanto d'aver cambiato la mia esistenza. Pensai al suo volto e sentii quella solita e nuova sensazione di malinconia. Non sapevo chi fosse e neanche se l'avessi vista di nuovo. Era sparita totalmente. Anche se nella mia mente continuava a esistere, e sperai di poterla vedere ancora.

Almeno un'ultima volta.

◆◆◆

Lo vidi correre veloce, libero e protetto dal calore degli alberi. Era di colore beige scuro, le sue corna erano lunghe, ed era in carne: sicuramente dalla grandezza del suo corpo doveva essere un maschio. L'osservai per parecchi minuti, seguendo ogni sua mossa. Si fermò in un sentiero e bevve dell'acqua proveniente da una cascata.

Mi avvicinai a lui con passo lento, cercando di fare il minor rumore possibile. Tirai fuori dalla tasca un pugnale in legno. Il mio in acciaio lo avevo lasciato al castello, non volendo avere nessun'arma con me davanti agli arcangeli. Così ne improvvisai uno lavorandolo con un sasso e dandogli un lato appuntito. Non doveva spaventarsi e non doveva sentire nessun rumore, se no sarebbe scappato.

Arrivai dietro di lui e con forza lo presi dalle corna. Iniziò ad agitarsi dalla paura, così allungai la mano e lo pugnalai al fianco destro. Urlò con versi agonizzanti. Continuai a pugnalarlo fino a farlo cadere a terra, ormai morto. Tolsi la mano sinistra dalle corna, mi buttai a terra esausto, rimasi a guardarlo e per la prima volta provai un senso di colpa nell'aver compiuto quell'azione.

Avevo ucciso un cervo, e lo avevo fatto per poter mangiare, recuperare le energie. La fame stava consumando ogni parte del mio stomaco, così lo presi dalle gambe e lo portai nella grotta.

La notte arrivò in fretta, avevo già perso troppo tempo nel procurarmi del cibo, e appena finii di mangiare il cervo, cotto a fuoco, aprii le ali e mi innalzai in cielo. Dopo ore di volo, caddi a terra esausto, alzai la testa e vidi davanti a me una stradina sterrata. Attorno non c'era niente: nessuna casa e nessun albero, solo un prato verde immenso.

Camminai, cercando di non cadere sentendomi senza energie. Non potevo fermarmi, anche se il desiderio di dormire fu veramente forte. Immaginai quello che sarebbe successo una volta varcato il cancello degli arcangeli.

Oltre le aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora