Capitolo 9 (parte due)

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Leanna

«Ti sei svegliata!»

Mi voltai e vidi Gabriel seduto sulla sedia a dondolo fissandomi incuriosito. Ero stata talmente tanto intrappolata da quel posto che cancellai qualsiasi altro pensiero, dimenticandomi anche di scoprire dove fossi, e soprattutto con chi.

Andai a sedermi accanto a lui e tornai a guardare l'orizzonte.

«Incanta, vero?» Sorrise voltandosi verso il lago.

Mi voltai verso di lui: «Già, sembra un quadro», lo fissai e non seppi dire sé stessi parlando del lago o di lui.

«Questo è per te», mi passò il bicchiere di succo, «bevilo, ti darà un po' di energie», mi fissò per qualche secondo, e poi, come se sapesse quello che stavo per chiedergli, andò in casa lasciandomi da sola.

Quel giorno esigevo delle risposte, avevo bisogno di spiegazioni, e Gabriel me le doveva. Prima di perdere i sensi mi aveva accennato che c'era qualcosa che dovevo sapere, qualcosa che mi avrebbe sconvolta, e quello era il giorno di venirne a conoscenza. E non mi importava se mi avesse sconvolto, perché il dolore come lame taglienti, che in quei giorni provavo nel mio corpo, erano più sconvolgenti di qualsiasi cosa.

Andai velocemente nella sua stanza e lo vidi raccogliere tutti i fogli da terra, sistemandoli insieme a quelli sulla scrivania. Abbassai la testa accorgendomi di un foglio sotto i miei piedi, lo guardai perplessa e lo presi: era un disegno fatto a matita.

Gabriel si voltò di colpo fissandomi con allarmismo e cercando di capire la mia reazione. Il suo comportamento fu strano, ma non gli diedi importanza e continuai a guardare il foglio: era davvero bello che rimasi senza parole.

All'improvviso il mio cuore si fermò: riconobbi quelle persone disegnate da Gabriel. Era raffigurato un uomo con i capelli lunghi fino al collo, e due ali enormi perfette sulla sua schiena nuda e definita; era in ginocchio davanti a una donna con i capelli lunghi fino al sedere un po' mossi.

«Questa...», alzai la testa per guardare Gabriel, «questa, sono io».

Rimase immobile a fissarmi con un'espressione indecifrabile. Tornai a guardare il disegno, e notai una frase: ― Deligam Infinitum

«Cosa vuol dire?» Mi avvicinai e gli feci vedere il foglio. Non lo guardò e rimase a fissarmi. Sentii il viso bruciare dall'imbarazzo e iniziai ad agitarmi.

«Ti porto a casa», Gabriel mi tolse bruscamente il foglio dalle mani e lo mise nel cassetto della scrivania.

Lo presi dal braccio voltandolo verso di me, «no! Non ce ne andiamo fino a quando non mi dirai tutto!» Mi ero stancata del suo comportamento sfuggente, a ogni rivelazione, ogni spiegazione, cercava sempre un modo per scappare dalla situazione, ma quel giorno non glielo avrei permesso.

«Ok. Ti dirò tutto, ma prima di iniziare, devi promettermi una cosa», il suo sguardo diventò davvero serio e intenso che ci sprofondai dentro.

«Cosa?» Sospirai preoccupata.

«Qualsiasi cosa dirò, mi crederai», Gabriel mi prese le mani e le strinse forte, «promettimi che ti fiderai di me»

«Te lo prometto: mi fiderò di te». Le parole uscirono di colpo dalla mia bocca, senza neanche averle metabolizzate dentro di me, e capii che in fondo già mi fidavo di lui, anche se non ne sapevo il motivo.

Ci trovammo seduti sul divano, faccia a faccia, e in quell'istante tremai, non per il freddo bensì per il timore di ciò che avrei scoperto da un momento all'altro.

«Lea...», si fermò e si morse il labbro.

Capii che non riusciva a trovare le parole giuste e la sua voce me lo confermò. Nei suoi occhi intravedevo il suo timore, la paura di ciò che sarebbe successo qualche ora dopo, quando ormai sapevo tutto ciò di cui dovevo essere a conoscenza.

«Sono venuto qui, in Louisiana, solo per aiutarti», abbassò la testa e mi toccò le mani.

«Aiutarmi?! Da cosa, da chi?!» Iniziai a tremare dalla paura.

Ero in pericolo?

«In questo periodo continui a stare male: hai giramenti di testa, il cuore sembra esploderti per quanto batte, hai la nausea, crampi allo stomaco, sbalzi corporei e frequenti svenimenti...», alzò la testa e tornò a guardarmi.

Indietreggiai di poco: c'era una luce nei suoi occhi... qualcosa di diverso.

«Sono stato mandato qui per aiutarti a superare questo periodo, per darti spiegazioni e risposte su ciò che diventerai e su ciò che sei veramente, guidandoti verso il tuo destino». Parlò talmente veloce che ero sicura di aver sentito male, di non aver capito assolutamente niente.

«Ma, cosa stai dicendo?! Chi sono veramente?! Sei stato mandato qui?!» Chiesi sorpresa e allo stesso tempo confusa. Erano assurde le sue parole!

«Lea, ti prego, fammi finire», mi fissò intensamente prendendo un respiro profondo, «io sono...», si bloccò non riuscendo a finire la frase.

«Sei?» Lo scrutai attentamente. Non poteva fermarsi proprio in quel momento, doveva parlare!

«Sono un angelo, Lea, e tra poco lo diventerai anche tu!» Sputò velocemente quelle parole.

Non capii niente. Cosa?!

Angelo, angelo, angelo...

Quella parola mi martellò la testa, mi alzai di colpo lasciando le sue mani, e vidi la stanza girare. Appoggiai le mani al muro e la fronte contro di esso. Gabriel si stava beffando di me, mi stava prendendo in giro, mi odiava a tal punto di dirmi cose assurde. Sicuramente stava andando così, stava solo giocando, solo che a me quel gioco non mi stava divertendo; non mi piaceva proprio.

«Lea, siediti!» Gabriel si alzò e venne verso di me.
Mi prese il braccio, ma gli impedii di toccarmi togliendo bruscamente la sua mano: non mi doveva toccare, non doveva neanche azzardarsi a sfiorarmi.

«È solo un sogno...», sussurrai cercando di convincermi. «Mi odi così tanto? Come puoi prenderti gioco di me in un modo così orrendo?!» Non sapevo se sentissi più la rabbia o più la delusione. Di colpo iniziai a sentire i crampi allo stomaco e mi vennero in mente le sue parole.

«Lea, ma cosa stai dicendo?! Non ti odio, anzi...», si avvicinò per la seconda volta senza finire la frase, e non capii cosa volesse dire con quell'ultima parola. Mi prese il viso tra le mani e non lo fermai, non ne avevo le forze, i miei occhi non riuscivano più a vedere niente e la vista si annebbiò.

«Gabriel», sussurrai non riuscendo a controllare il dolore.

«Ti prego, fidati di me», mi attirò abbracciandomi con forza e tenendomi tra le sue braccia.

Sobbalzai per quel gesto non aspettandomi una reazione così affettuosa, e da come mi stringeva era come se lo avesse voluto fare da una vita.

Ripensai alle sue parole, le ultime di quella giornata perché nel suo abbraccio il mio mondo si spense.

~

*nota autrice*
A seguire la terza parte del capitolo

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