Capitolo 9 (parte tre)

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Leanna

La luna illuminò il mio viso, facendomi svegliare. Notai dalla finestra che era notte e fissai il cielo scuro ripensando a tutto quello che era successo fino a quando non svenni tra le sue braccia.

Mi alzai mettendomi seduta e notai di essere ancora nella sua stanza; mi sfregai gli occhi e misi a fuoco.

Mi voltai e vidi Gabriel sdraiato accanto a me che mi fissava. Non mi spaventai, mi aspettavo di trovarlo lì, anche perché quando iniziai a stare male ero sicura che sarebbe rimasto al mio fianco, senza lasciarmi mai da sola neanche per un secondo. Ritornai a sdraiarmi su un fianco nella sua direzione, e lo fissai.

«È vero quello che mi hai detto ieri?» Dentro avevo già la risposta, la sentivo, e sapevo che le sue parole non erano menzogne, ma mi fu davvero difficile accettare e comprendere una cosa davvero così paranormale.

«Sì», chiuse gli occhi. La sua voce era fredda e triste, tanto che sembrò che qualcosa dentro di lui si fosse spezzato.

Lo guardai intensamente, senza avere timore di lui e delle parole che mi aveva detto, ed era come se mi fossi svegliata da un lungo sonno con uno spirito diverso. Non avevo più dubbi, sapevo che non mi odiava, anzi mi aveva fatto intendere di provare qualcosa di totalmente diverso da quel sentimento. Non temevo più quello che sarebbe accaduto, perché era lì con me, al mio fianco, e quello mi bastava per stare tranquilla.

L'unica cosa di cui avevo paura era il pensiero di poterlo perdere, vederlo sparire come i giorni passati. Non avrei più sopportato di stare senza Gabriel: un angelo dagli occhi verdi intenso, di cui mi ero profondamente innamorata.

Lo avevo ammesso a me stessa e ora non potevo più negarlo.

Rimanemmo per qualche instante fermi a guardarci senza parlare, senza toccarci: solo i suoi occhi dentro nei miei.

«Che ore sono?» Lo fissai senza perdermi neanche un solo movimento, avevo paura che potesse scomparire da un momento all'altro.

«Sono le undici», Gabriel si voltò a pancia in su guardando il soffitto, «ho preso il tuo telefono e ho mandato un messaggio a tua mamma, dicendo che saresti rimasta a dormire da Abby, e che domani mattina saresti tornata a casa». Si alzò e uscì dalla stanza senza degnarmi di uno sguardo, senza farmi rispondere; se ne andò lasciandomi sommersa dai pensieri e dalla confusione che navigava la mia testa.

◆◆◆

La mattina arrivò in fretta e tornai a casa. Sentii il profumo dei miei genitori e il calore di quel posto che mi aveva avvolta per diciannove anni.

Osservai ogni angolo della casa e ripensai a tutto quello che Gabriel mi aveva detto, mi sentivo un'estranea a casa mia, come se quello non fosse più il posto adatto a me, non sentivo più quella casa come la mia vera casa; tutto si era sbriciolato.

"Un angelo? Ma com'è possibile?"

Mia madre era in cucina, davanti ai fornelli, e per colpa della musica alta non si accorse della mia presenza.

«Ciao mamma», mi avvicinai e appena mi vide lasciò tutto ciò che stava facendo e corse ad abbracciarmi con forza.
«Mamma, mi stai soffocando», sussurrai senza respiro.

«Scusa, ma è stato strano non averti in casa. Mi sei mancata troppo», mi lasciò e mi fissò contenta di vedermi.

Ero mancata solo da due giorni, ma per lei fu un'eternità, e non ebbi idea di come sarebbe stata quando non mi avrebbe più rivista. Un giorno, da quello che mi fu detto, sarei diventata un angelo; quindi, era indispensabile il mio allontanamento. E anche se non riuscivo ad accettarlo, se quello era davvero il mio destino, lo avrei dovuto fare.

Entrai nella mia stanza scappando dalla cucina, per paura di troppe domande di mia madre sui giorni passati fuori casa. Scoppiai a piangere, tirando fuori tutto ciò che era racchiuso dentro di me: la rabbia, il dolore, l'angoscia, la paura... tutte le emozioni nascoste.

Aprii l'armadio e presi un jeans grigio ormai scolorito, una canottiera nera e indossai le Superga bianche. Andai in bagno e mi pettinai i capelli facendo una coda morbida, controllai il mio viso con il timore che qualcosa fosse già cambiato, ma per fortuna non fu così. Presi la felpa nera e la infilai, tirai su lo zaino e scesi.

Era lunedì mattina e dovevo andare a scuola: non ne avevo le forze, e dopo quello che avevo saputo, come potevo guardare negli occhi Abby e pensare che un giorno sarei dovuta andare via? Non potevo farle questo, non se lo meritava, io per lei ero tutto, una sorella, la sua migliore amica, il suo punto di riferimento... non potevo abbandonarla.

Uscii di casa senza aver mangiato niente, lo stomaco si era chiuso e mi sentii l'umore a terra, come se fossi in un baratro oscuro e non riuscissi più a uscirne.

«Buongiorno!» Abby urlò sorridendo e mise in moto la macchina: era felice e canticchiava.

«Perché sei così contenta?!» La scrutai, notando che era davvero rilassata e piena di vitalità già di prima mattina.

«Non ti piacerà, già lo so... ma stasera uscirò con Nathan»

«Sono contenta per te, Abby», strinsi con forza la felpa cercando di trattenere l'agitazione: come potevo sopportare quella situazione?

Come potevo guardarla e dirle addio?

Si voltò a fissarmi confusa, aggrottò la fronte e torno a guardare la strada.
«Sicura di stare bene?» Si preoccupò, scrutandomi attentamente.

Ovviamente la mia risposta aveva creato sospetto, non le avevo urlato qualcosa del tipo: non uscire con lui! Quindi, la sua reazione confusa era più che giustificabile. Però, dopo quello che avevo scoperto, come potevo pensare che Nathan fosse cattivo? Era il fratello di Gabriel, sicuramente era un angelo pure lui. Anche se non riuscivo ancora a metabolizzare quell'assurdità.

Angeli?! Davvero esistevano? Davvero stava succedendo tutto quello?

Pensai di impazzire, tanto da non riuscire a dare una sensata risposta a quella situazione, come se fossi sotto incantesimo: offuscata e irrazionale.

«Ho avuto modo di conoscere meglio Gabriel... non è poi così male come pensavo», cercai di dire il meno possibile, evitando di farle capire che ne ero innamorata.

«Non è male?! Seriamente?!» Mi posò la mano sulla fronte, «non ci posso credere! Hai la febbre?! Per caso, durante la notte hai avuto un miracolo?! Un'illuminazione dal cielo?!» Spalancò gli occhi davvero esterrefatta.

Sapeva che ogni centimetro del mio corpo detestava Gabriel, ma, anche se fu difficile da comprendere, quella non era più la verità.

«Una cosa del genere», sorrisi e pensai a quanto ci fosse andata vicina, con la differenza che a illuminarmi non fu il cielo, ma Gabriel: un angelo sceso sulla terra per me.

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*nota autrice*
Domani pubblicherò il prossimo capitolo!
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