Prologo

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Mi è sempre piaciuto paragonare gli esseri umani a delle bambole di porcellana. Essi sono estremamente fragili e delicati e, proprio come le bambole, vengono rovinati alla minima scalfittura. Basta una caduta e nessuno riuscirà mai a farli tornare come prima, irreparabilmente distrutti, con dei cocci che non riusciranno più ad assestarsi nel loro luogo di origine. 

Mai come ora mi sono sentita come una di quelle bambole. Non sono stata graffiata, non sono stata nemmeno scheggiata, sono stata distrutta nel più doloroso dei modi possibili. 

Il modo peggiore per ferirmi, non è mai stato colpire me, ma le persone alle quali voglio più bene. Non ho donato poi così tanto a me stessa da potermi permettere di versare lacrime per i miei errori e per le mie cadute; lei però mi aveva dato davvero tanto, così tanto da non poter essere nemmeno misurato.

Di chi lascia il segno nella mia vita è difficile che io me ne scordi e, se fatto questo pensiero per lei, allora il tutto acquisisce maggior valore.

Da quando è successo ciò che è successo, sento costantemente il bisogno di "staccare la spina", di andarmene per qualche ora dove nessuno mi può trovare, per starmene sola con i miei pensieri e con il mio desiderio di commemorare chi ho perduto.

Potrebbero darmi della masochista, ed io non saprei che cosa rispondere. Mi sto facendo del male, ostinandomi a prendermi del tempo per ricordare ciò che in realtà vorrei dimenticare? Sicuramente. Voglio davvero mettere via una parte così importante del mio passato? Neanche per idea.

I ricordi di quel giorno riescono sempre ad oscurare tutti gli altri, e i momenti felici mi sembrano davvero troppo distanti per poter anche solo pensarli reali. Come può esistere una realtà diversa da questa? 

Forse mi ci sto immergendo troppo, così tanto da impedirmi di andare avanti. Sono consapevole del fatto che sto sbagliando, ma il mio cervello continua a dirmi che è la cosa giusta. Mi sentirei un'egoista se abbandonassi anche il più minimo ricordo di mia sorella, persino uno di quelli che mi tormenta ogni notte da più di un anno.

Sembra che la vita voglia darmi un promemoria costantemente, in un messaggio subliminale portatomi in sogno: "Osserva quello sguardo spegnersi, una volta non è bastato".

Da quando lo scherzare è diventato l'inizio di un ciclo continuo di puro terrore, qualcosa in me è cambiato. Ho visto morire la mia compagna di vita davanti ai miei stessi occhi, e con lei, me ne sono andata anche io.

Sedute a terra come ogni pomeriggio, a raccontarci la nostra giornata, i nostri progetti da iniziare, da portare avanti, o da concludere. Sguardi al passato, altri nel futuro, e in ognuno di essi nessuna di noi avrebbe potuto immaginarsi il tutto senza l'altra. Perché mai avremmo dovuto anche solo prendere in considerazione una cosa del genere?

Non le ho mai capite quelle sorelle che non riescono a sopportarsi. Come si può rinnegare il proprio sangue? Come si può odiare la persona che hai visto crescere sin dai suoi primi giorni di vita? 

Lei era la mia costante, l'altra parte di me. La conservatrice dei miei segreti e la dispensatrice dei consigli migliori mai ricevuti da qualcuno. Una spalla su cui piangere, la mia migliore amica, un porto sicuro, e colei che mi sentivo in dovere di proteggere. 

Tutto è successo all'improvviso, in un malfunzionamento di qualche organo che ha deciso di cedere. È stata una di quelle cose che accadono in un istante, ma che poi ci si porta dietro per il resto dei propri giorni.

Non ho potuto fare niente, se non guardare la messa in pratica di ciò che il destino aveva pianificato per lei. Ancora oggi mi ricordo il modo in cui il suo sorriso si è voltato al nulla, gli ultimi respiri affannati, i gesti disperati, in cerca di un qualsiasi aiuto che potesse portarla via dal pericolo. Le iridi azzurro-verdi non c'erano più, al loro posto solo un bianco che creava smarrimento.

Nient'altro che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora