Capitolo ventuno

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Le giornate fanno il loro corso senza guardare in faccia nessuno, il sole sorge e poi tramonta in un attimo nella sua monotonia, non curandosi di ciò che succede sulla terra.

Io continuo la mia misera vita, non diversamente dalle scorse due settimane.

Jamie, dal giorno in cui sono tornata a frequentare le lezioni, mi ha sempre evitato, come se fosse stato un terribile sbaglio guardarmi e, nei rarissimi casi in cui ci siamo anche solo sfiorati, per caso o per sbaglio, si è allontanato nella più totale fretta.

Dovrei dimenticarlo, e credo sia più facile così, che nel caso in cui mi assilli costantemente, ma il problema è che il mio cuore sembra essere separato dalla mia mente. Lui non vuole dimenticare.

Perché è tutto così difficile? Voglio riavere tutto ciò che possedevo prima, ma di mezzo c'è il mio fottutissimo orgoglio.

Jamie ha fatto una cazzata che non doveva assolutamente fare, e non sono una che perdona. Io le cose me le lego al dito, e la rabbia che ho nei suoi confronti non accenna a diminuire.

Come può una persona provare amore e odio allo stesso tempo? Questa cosa è totalmente assurda.

«Non ne posso più di questo freddo!» esordisce Erika, mentre tenta di aprire il cancello con le chiavi.

Dopo svariati tentativi, e qualche imprecazione causata dalla serratura ghiacciata, riesce nella sua impresa e si fionda alla porta, con me al suo seguito.

Il calore dell'appartamento è un vero paradiso per la pelle, resa totalmente insensibile dalla temperatura spietata dell'esterno.

«Ciao papà» lo saluta Erika, correndo in contro a suo padre, per poi abbracciarlo.

Daniel è un uomo di mezza età. È molto alto e robusto, ha i capelli castano chiaro con qualche striatura grigia, dovuta all'imminente vecchiaia; e gli occhi, barricati dietro a delle lenti spesse, sono identici a quelli della figlia, verdi e con qualche sfumatura oro.

«Ciao tesoro» le risponde lui, ricambiando l'abbraccio, per poi spettinarle affettuosamente i capelli.

«Ciao anche a te, Luna» si rivolge a me, facendomi un sorriso raggiante, che io ricambio.

Ho sempre invidiato il rapporto che hanno lui ed Erika. Più che padre e figlia, sembrano essere migliori amici, ed è una cosa stupenda.

Si punzecchiano costantemente, e sono sempre pronti a scherzare l'uno con l'altro, tutto ciò sommato ad una notevole dose di affetto.

Mi sono spesso trovata ad immaginare come sarebbe avere ora come ora un rapporto così anche con mio padre, continuando ad illudermi che un giorno le cose possano magicamente cambiare. So benissimo che non potrà mai accadere, ma sono una sognatrice incallita, e mi piace immaginare ciò che vorrei divenisse la mia realtà.

Dopo esserci tolte il giubbotto, ed esserci lavate le mani scendiamo in cucina per pranzare.

«Allora, stasera comincia alle otto, vero?» chiede Daniel, intento a passarci i piatti di pasta.

«Sì, non vedo l'ora!» risponde la mia amica, con una luce negli occhi che sarebbe capace di illuminare un'intera città.

«Ma di che state parlando?» chiedo loro, alzando un sopracciglio. Non riesco a capire il soggetto del discorso.

«Tu stai scherzando, vero?» chiede Erika, rivolgendomi un'espressione sconcertata. «Non te ne sarai mica dimenticata?» aggiunge subito dopo, mentre io continuo a non capire.

«Qualsiasi cosa sia, sì. Spiegami» ribatto, rivolgendole un mezzo sorriso.

«Se ti dicessi "regalo di compleanno"?» mi suggerisce.

Nient'altro che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora