Capitolo quarantatré

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«Ma ci pensi che tra neanche sette mesi ci saranno due mostriciattoli in più in questa casa?» chiede Erika tra una pennellata e l'altra.

Abbiamo finalmente sistemato la mansarda, e ora la stiamo tinteggiando per darle un aspetto confortevole, e per renderla pronta per l'uso.

Sono eccitata per questo piccolo progetto, e non vedo l'ora di vedere la stanza finita.

Non sapendo ancora il sesso dei bambini abbiamo deciso di fare le pareti verde-acqua, anche se dubito che a loro importerà anche solo vagamente del colore della loro camera.

Mi immagino quei due corpicini senza volto in una culla vicino alla finestra, accanto a loro una versione di me stessa decisamente più stanca, e subito i battiti cardiaci aumentano.

«Non me lo ricordare, sono terrorizzata» dico con tono tendente al sofferente, sbuffando subito dopo.

Da quando ho sentito quel piccolo sfarfallio nella pancia non ho fatto altro che pensare a loro, o meglio, ancora di più di quanto già facessi.

Neanche durante il sonno riesco ad accantonarli per un solo momento, tutto ciò che è presente nei miei sogni ordinari, sono solo loro.

Non so come sarà la vita da madre, l'unica mia certezza è il fatto che sarà totalmente differente da quella di adesso. Più complicata, sicuramente, decisamente più movimentata, e anche più stancante. Però posso solo immaginare le grandi soddisfazioni che porterà, sono certa che ci saranno anche quelle.

Non posso negarlo: ho paura, come mai ne ho mai avuta fino ad ora, ma ormai ci sono dentro, e posso solo procedere sperando per il meglio.

I cambiamenti mi spaventano, lo hanno sempre fatto, e so che hanno esattamente lo stesso effetto anche su Jamie. Spero solo che la voglia di impegnarsi in questa nuova sfida possa attutire la "botta", almeno in parte.

«So che sarai fantastica. Devi smetterla di preoccuparti così tanto, stai diventando con contenitore di ansia vagante» mi rassicura lei, facendomi un occhiolino.

«Dici così perché non lo vivi in prima persona, fidati che è tutto molto diverso dalle apparenze. La vita che avrò dopo mi spaventa, e penso sia anche normale, quindi non giudicare la mia ansia» le dico facendo una piccola risata. Sono arrivata a giudicare il mio stato d'animo preoccupato di tutto, come fosse una vera e propria persona, ci manca solo che le dia un nome.

«Ciò non toglie il fatto che io possa darti dei consigli» dice, fermandosi per cercare di portarsi dietro l'orecchio una ciocca ribelle, senza imbrattarsi i capelli di vernice.

«E quello che ti consiglio è di goderti finché puoi i servigi e tutte quelle schifezze che nessuno ti potrà mai negare». In effetti ha ragione, questa parte della gravidanza mi piace, e non poco.

Potrei farci l'abitudine, anche se la voglia di dolci a volte è davvero stressante.

«A proposito di schifezze... dove sono finiti Mattia e quei biscotti che è sceso a prendere venti minuti fa?» chiedo insospettita dalla sua assenza prolungata.

Erika sembra pensarci un po' su, per poi cominciare a dirigersi verso la porta con ancora il pennello in mano.

«Torno subito»

Resto a fissare le scale per meno di due minuti, quando la vedo riapparire, intenta a trascinare Mattia per il lobo di un orecchio.

Noto la comparsa di una striscia verde sulla guancia sinistra del ragazzo, e subito scoppio a ridere.

«Questo cretino se li stava mangiando allegramente giù in cucina» dice gettandogli un'occhiataccia.

«Ve li sareste finiti tutti voi, non fatemene una colpa se non ho resistito alla tentazione!» tenta di scusarsi.

Nient'altro che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora