Capitolo cinquantatré

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Ogni passo fa accrescere in me un terrore folle. All'improvviso mi ritrovo a desiderare un tratto di centinaia e centinaia di chilometri a separarmi da casa, perché so che qualsiasi tra i più faticosi tragitti, si rivelerebbe una passeggiata in confronto a ciò a cui sto andando in contro.

A peggiorare ulteriormente le cose, c'è il fatto essermi caricato sulle spalle un'enorme responsabilità. So perfettamente quanto mia madre si fidi di me, esattamente come so quanto sia importante per lei il mio punto di vista. E Dean non sarà sotto l'egida di nessuno, se non la mia.

Dovrò essere capace di ponderare ogni singola parola per evitare i colpi più grandi e, soprattutto, dovrò riuscire a mettere le cose in chiaro sin da subito. Ho solamente pochi secondi prima che lei scatti all'attacco, perché sono certo che lo farà. Quella donna è una predatrice, e so che non si fermerebbe davanti a niente pur di raggiungere i suoi obiettivi. Sono diciannove anni che aspetta di infliggere il colpo di grazia a quest'uomo, e non credo che si farà sfuggire questa tanto attesa possibilità proprio ora.

Mi ritroverò davanti ad una bomba ad orologeria e, senza alcuna esperienza in campo, dovrò assicurarmi di tranciare il cavo giusto prima che tutto esploda, ponendo fine a tutto quanto.

Provo a pensare a cosa dire, ma nella mia mente continua ad esserci tutto e niente. Non appena cerco di collegare due parole tra loro, ogni cosa si ferma, lasciandomi cadere dentro ad un baratro dal quale mi è impossibile uscire.

Oltre che a portarci Dean, sto portando anche me stesso al macello, proprio con le mie gambe. Se dovesse andare male, so che mia madre potrebbe non guardarmi più come prima. D'altronde, ciò che sto facendo è dare la possibilità di avvicinarsi al nemico, quel nemico che lei ha sempre tentato di seppellire in fondo a tutti i suoi ricordi più oscuri.

Però voglio farle capire che le cose non sono solo bianche o nere, e che, se si parte da una situazione iniziale, non è detto che quella situazione non possa cambiare, o addirittura stravolgersi.

Non voglio fare l'eroe della situazione, perché non è per niente ciò che sono. Voglio solo provare a farle capire che tutto non esattamente come può sembrare; non sempre, almeno.

«Va tutto bene?» mi chiede Dean con voce fievole. Sta mantenendo una certa distanza da me, forse per lasciarmi i miei spazi, o almeno credo.

«Dovrei essere io a chiederlo a te, lo sai?» constato, gettandogli un'occhiata da sopra la spalla. Nei suoi occhi vedo celata tanta insicurezza e, per l'ennesima volta in appena qualche ora, mi sto chiedendo di nuovo a cosa stia pensando. Vorrei provare a vedere le cose dal suo punto di vista per un secondo, solamente per un secondo.

«Mi sento come se fossi un condannato a morte poco prima della propria esecuzione, e avessi solo pochi minuti per provare la mia innocenza.» Continua a mantenere lo sguardo fisso a terra, ed io torno a guardare ciò che sta davanti a me.

«E io mi sto sentendo come se fossi il tuo fottutissimo avvocato» gli dico, passandomi poi nervosamente una mano tra i capelli. Non appena porto i ciuffi indietro, subito mi ricadono davanti alla faccia per l'ennesima volta, e la cosa mi fa innervosire parecchio.

Ogni centimetro del mio corpo sembra essersi corroso a causa di tutta l'ansia che sto provando, e non so cosa darei per avere un istante di normalità prima di addentrarmi in questo campo minato.

«Come pensi reagirà?» mi pone quella che a me sembra essere una domanda più che retorica. Non è poi così difficile da immaginare.

«Meglio che non te lo dica, credimi, o scapperesti subito.» Probabilmente all'inizio sarà solo molto spaesata, ma non credo che durerà molto la situazione di quiete.

Nient'altro che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora