Capitolo tredici

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LUNA'S POV

Ieri, non appena sono tornata a casa, sono andata alla ricerca di pacchettini sospetti, o oggetti mai visti per tutta la casa. Mi sono sentita quasi nei panni di un ladro, tanto era meticolosa la mia ispezione. Solo che, non avendo trovato nulla, mi sono messa l'anima in pace una volta per tutte. 

Non mi ha ancora comprato niente, credo, e non potrei essere più felice. Mancano ancora tre giorni al mio compleanno, e devo assicurarmi che, in questo arco di tempo, Jamie non esca di casa. 

Non ho mai accettato il fatto che la gente mi comprasse dei regali, mi sento in imbarazzo a riceverli, oltre al fatto che non credo di aver fatto niente per meritarmeli. 

Inoltre, Jamie, nell'ultimo periodo, ha fatto davvero tanto per me. Con tutto quello che è successo con la mia famiglia, mi è stato davvero di grande conforto, più di quanto lui possa anche solo lontanamente immaginare. 

Probabilmente non sarei riuscita a superare niente di tutto questo, senza di lui. 

Faccio l'ultimo giro di perlustrazione, giusto per essere sicura al cento per cento. 

Davvero, se mi ha preso qualcosa, lo strangolo.

***

«Luna, mettiti il giubbotto, e vieni con me» mi ordina, ed io non capisco.

Che cosa? Vieni con me, dove? Lo guardo, incrociando le braccia al petto, alzando poi un sopracciglio. 

«Dai, o facciamo tardi! Avevano un buco libero solo per oggi» mi esorta, facendomi gesto con le mani di sbrigarmi, ma io non mi muovo. 

Avevano libero solo oggi? Ogni secondo che passa, sono sempre più confusa. Davvero non so cosa gli sia passato per la sua mente contorta e, sinceramente, ho anche un po' paura di scoprirlo.

«Dove dobbiamo andare?» gli chiedo, sospettosa. Cosa cavolo sta tramando? 

«Sorpresa. Lo vedrai da sola una volta lì, io non ti dirò nulla» afferma, sorridendomi.

Vedendomi restare ferma, alza gli occhi al cielo, per poi sbuffare. 

«Ti vuoi muovere? Non abbiamo tutta la giornata» riprende ad esortarmi. 

Si avvicina a me e mi prende la mano, trascinandomi fuori dalla porta con la forza. Cerco di piantare i piedi, ma senza alcun successo. 

Dove mi vuole portare? Sono nervosa. 

Scende di fretta le scale che portano al piano di sotto, ed io per poco non inciampo; evito la caduta perché sorretta dalle sue braccia.

Afferra il mio giubbotto dall'attaccapanni, posto accanto alla porta d'ingresso, e me lo porge. Prende anche il suo cappotto nero, e se lo infila, per poi fermarsi a guardarmi. 

«Cammini da sola, o ti devo portare in braccio fino a lì? Ti conviene la prima ipotesi, perché non ho intenzione di mettere in pratica la seconda» mi comunica, mettendosi a ridere. 

«Mi stai dicendo che sono grassa?» chiedo, corrugando la fronte. 

«No, però muoviti!» mi ripete per l'ennesima volta. 

Alla fine cedo, lasciando che la curiosità prenda il posto del timore. Arriviamo a piedi fino alla fermata dell'autobus, che ci deve portare sino al Centro. 

Durante tutto il tragitto, lo bombardo di domande, senza la possibilità di ricevere alcuna risposta. 

Sembra che io neanche abbia parlato, difatti lui si limita solo a sorridermi, facendomi innervosire all'impossibile. 

Nient'altro che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora