Capitolo quarantanove

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Guardo Austin correre giù dalle scale, come se arrivare in cucina fosse una questione di vita o di morte. Lo seguo, andando decisamente più lentamente di lui.

Una volta arrivato di sotto, trovo Zach addormentato sul divano, con un'espressione rilassata, ed una coperta tirata su fino al collo. Dalla bocca aperta esce un brontolio, molto simile ad un leggero fischio. Davanti al camino acceso, invece, ci sono mamma e Martha, intente a parlare e a ridere, non diversamente dal solito.

Quando mia madre si accorge della mia presenza, mi fa un piccolo sorriso, che io prontamente ricambio. Ogni giorno che passa, mi sembra sia sempre più felice, e la mia serenità è solo una conseguenza della sua.

Oltrepasso la porta della cucina, e quella che mi si para davanti è una scena che rasenta il limite dell'assurdo: in quei pochi secondi di distacco che aveva da me, la piccola Cicala è riuscita ad impilare due sedie una sull'altra, e ora si sta arrampicando sul tavolo, per potersi lanciare su quella più alta. 

Presumo abbia fatto questa strana progettazione ingegneristica per poter arrivare a prendere il cibo dagli scaffali per lui troppo alti, ma non so se possa avere un lieto fine. Da piccolo ho provato a fare la medesima cosa e, gli unici risultati, invece della merenda che tanto desideravo, sono stati un bel giretto all'ospedale e sei punti sulla fronte.

Non appena Austin si lancia dal tavolo, subito mi paro davanti a lui, così da poterlo afferrare al volo.

«Non è per niente una buona idea, fidati» gli dico, allentando poi la presa su di lui, e mettendolo a terra.

Prendo le due sedie impilate e le metto al loro posto, sul lato più lungo del tavolo.

«Non sono così alto da arrivare fino a lì, quindi mi arrangio come posso» tenta di giustificarsi, come se lanciarsi dai tavoli fosse l'azione più normale al mondo.

«Ma io sì che ci arrivo, e bastava che aspettassi me» ribatto, girandomi per poter aprire le ante della cucina.

«Ci sono le caramelle?» mi chiede Austin, mettendosi sulle punte dei piedi, come se facendo così potesse istantaneamente riuscire a vedere fino a qui.

«Dove le tenete, di solito?» gli chiedo guardandomi in giro.

Lui ci pensa un attimo, per poi indicarmi uno scaffale alla mia sinistra. Ci guardo dentro, ma ciò che vedo sono solo sacchetti vuoti.

«Può darsi che quelle me le sia finite io... »

Zach è sulla porta, con ancora la coperta sulle spalle. Non riesce a tenere gli occhi aperti, e continua a sbadigliare.

«Uffa! E io cosa mi mangio, adesso?» urla Austin, mettendo il broncio e sedendosi poi per terra.

«Guarda che non esistono solo le caramelle. Possiamo mangiare qualcos'altro» gli faccio notare, adocchiando poi una scatola di biscotti danesi.

«Ad esempio questi» aggiungo subito dopo, agguantandoli dallo scaffale. Potrei vivere di queste delizie, sul serio.

«Me ne potete lasciare un paio?» chiede Zach, intento a fare il giro del tavolo, per poi andare verso il piano in marmo del lavabo. Lo guardo rovesciarsi del caffè in una tazza. Sembra che sia ancora nel mondo dei sogni, e spero che una buona dose di caffeina possa aiutarlo a tornare tra noi.

«Papà, ma tu mangi sempre!» si lamenta il piccoletto, ed io mi metto a ridere. Effettivamente, quell'uomo non fa certo grandi sforzi per trattenersi, ma neanche suo figlio scherza.

«Da che pulpito... » mi lascio sfuggire, facendogli poi un occhiolino. Da quando sono qui, ho notato che il suo passatempo preferito è ingozzarsi di dolci. Ora non ne sente gli effetti, ma non penso che a trent'anni a questa parte possa essere ancora così.

Nient'altro che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora