Capitolo trentuno

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"Nullus dolor est quem non longinquitas temporis minuat ac molliat". (Non vi è nessun dolore che il trascorrere del tempo non diminuisca e allievi).

«Con tutto il dovuto rispetto, caro Cicerone, penso proprio che questa sia la più grande cazzata del millennio, anzi, dell'intera storia. Dove ce l'avevi la testa quando hai scritto questa immane fesseria?» sussurro con voce fievole, mentre passo le dita fredde sopra la carta ruvida e ingiallita.

Ricordo di aver avuto questa strana abitudine da quando ne ho memoria. Mi è sempre piaciuto trascrivere delle citazioni, o delle parole che mi sono sembrate importanti, negli spazi delle pagine di ogni libro che abbia mai letto.

Non ho idea del motivo per il quale io abbia cominciato a farlo, o del perché continui tutt'ora. Forse perché, quando vado a rileggere queste mie annotazioni, posso sempre trovarvi un insegnamento, un consiglio o, perché no, un'emozione legata a delle semplici parole.

Questa frase, però, sta avendo il potere di suscitare in me un'unica emozione: la disapprovazione.

Quanto dovrei aspettare prima che il tempo si porti via la tristezza, la frustrazione ed il rancore che provo? Non sono disposta ad aspettare decenni, ho una vita da vivere e non è mia intenzione passare ogni giornata a lasciarmi sopraffare da questi sentimenti infami, d'ora in avanti.

Com'è possibile che un semplice essere umano sia riuscito a stravolgermi la vita così? Non lo trovo giusto, proprio per niente.

«Ehi tu, lì dentro» dico con un filo di voce, rivolta al bambino. «Dici che alla mamma passerà questa cosa? Mi aiuterai a dimenticare e ad andare avanti?»

Forse questo è chiedere davvero troppo ad una creatura piccola come lui o, forse, sono semplicemente io quella che si fa troppe paranoie. Dovrei semplicemente pensare ad altro, qualsiasi cosa, anche la più stupida, pur di non dedicare un solo secondo a Jamie. Questo, almeno nei momenti in cui non sarà presente.

Il tempo sta scadendo, ed io devo assolutamente parlargli di questo figlio che ancora non sa di avere, perché non potrò tenerglielo nascosto ancora per molto.

Non potrò neanche negargli di vederlo. Questo mai e poi mai. Non sarebbe per niente corretto.

La rabbia che provo nei suoi confronti non è ancora passata e, l'unica cosa ad essersene andata, è la fiducia che un tempo avevo riposto in lui. Ma, per quanto mi possa far male anche solo vederlo, devo accettalo senza troppi "se" e troppi "ma". Non trovo altra soluzione.

«Pulce, vieni ad aiutarci o pensi che la tua presenza sia troppo per noi comuni mortali?» chiede improvvisamente Mattia dallo stipite della porta, mentre un sorriso si impadronisce del suo volto.

«Perché continui a chiamarmi pulce? Lo sai che lo detesto!» esordisco con tono sofferente.

«Lo so che lo odi, proprio per questo continuo a chiamarti così» ribatte, sorridendo ancora di più, evidentemente divertito. «Allora, ci aiuti o no?» domanda subito dopo.

«Perché? Che state facendo?» chiedo, alzandomi dal letto dove ero seduta e riponendo il libro da dove era stato preso.

«Stiamo sistemando la mansarda, ci sono un po' troppe cianfrusaglie. Clare aveva pensato di sistemarla per poterci fare una nuova stanza per te e il bambino» mi spiega.

«So che è ancora presto per pensare alla stanza però, fidati, c'è davvero tanta roba e anche una ridipinta alle pareti non sarebbe male, ora come ora è davvero disastrosa» dice, facendo una faccia schifata al solo pensiero.

«E allora impegniamoci per metterla in sesto» esclamo, dirigendomi poi verso alla porta. Stare qui a spaccarmi la testa su ciò che è successo non mi porterà certo a nessuna conclusione, quindi è meglio che mi metta a fare qualcosa, giusto per tenere occupata la mente. Mi farà bene distrarmi per qualche ora, anche se si tratta solo di sistemare una vecchia stanza impolverata.

Nient'altro che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora