Ieri, quando sono tornato a casa, mia madre era seduta in soggiorno. Stava giocando con Austin, rideva e sembrava non essere preoccupata di nulla. Martha, invece, aveva un'espressione nervosa, che mutava rapidamente ogni volta che lo sguardo della sua amica incrociava il suo. Era programmata per non far trasparire nulla ai suoi occhi, almeno a me è sembrato così.
Ha continuato a lanciarmi delle occhiate preoccupate per tutta la cena, fino a che non se ne sono andati a dormire tutti. Ha mantenuto la sua promessa: non ha detto niente a mamma, e per questo gliene sono grato.
Quando siamo rimasti in soggiorno solamente io e lei, mi si è avvicinata e si è seduta a terra accanto a me, con la schiena appoggiata al divano, le ginocchia strette al petto e gli occhi puntati in direzione del camino. Sembrava catturata dal movimento delle fiamme, o forse continuava a fissarle semplicemente per poter prendere tempo; non saprei. Ha continuato a spostare i giocattoli del figlio con il piede per un po', portandoli prima a destra e poi a sinistra, sempre nel più religioso silenzio.
Nessuno sapeva cosa dire e non sono certo stato io a spezzare quella quiete che si era creata. La mia mente stava già gridando abbastanza forte, e non avevo bisogno che le parole peggiorassero la situazione. Qualunque frase, anche la più innocente, credevo mi avrebbe fatto scoppiare. Ed io non volevo scoppiare, non volevo dar sfogo a tutti quei sentimenti assurdi che sentivo vorticare furiosamente nello stomaco, come uno sciame di vespe, desiderose di pungermi una volta dopo l'altra, fino a farmi collassare.
Avevo come l'impressione che, se me ne fossi rimasto zitto, tutta la credibilità di ciò che ormai sapevo, se ne sarebbe sparita in un attimo, esattamente com'era arrivata.
«Mi hai chiesto di non farne parola con Anne, ma ora sono io a doverlo chiedere a te. Spero che le mie congetture siano sbagliate ma, a volte, non si può sfuggire dall'inevitabile» ha detto all'improvviso, e mi ci erano voluti un paio di secondi prima che io fossi riuscito a connettere il cervello con le sue parole.
Ho pensato che avesse capito la causa delle mie reazioni e non lo avrei voluto, almeno non il quel momento.
«Quando ti ho visto scendere con quel quadernino di pelle in mano ho capito tutto. Non potrei mai dimenticarlo, ma spero che tua madre lo abbia fatto. Jamie... non so cosa tu abbia fatto fin'ora, non so come tu voglia gestire la situazione, ma ti chiedo solo di stare attento. Non far sapere niente a lei, neanche per sbaglio». Il suo sguardo non lasciava spazio ad obiezioni.
«Non ha semplicemente cambiato città, nemmeno Stato, se n'è addirittura andata dal continente a causa sua. Quell'uomo l'ha uccisa come mai nessuno avrebbe potuto fare, e voglio che resti parte unicamente del suo passato. Sono trascorsi vent'anni, ma la sua è una di quelle ferite che non si può curare con niente. Fallo stare lontano da lei, non deve vederlo neanche di sfuggita».
Sono intenzionato a seguire i consigli di Martha, per quanto riguarda mia madre, ma non voglio fare lo stesso per quanto riguarda me.
Ora ho davanti ai miei stessi occhi la persona con la quale avrei dovuto condividere la vita, ma che, per sua scelta personale, non è potuto essere così.
Non riesco a capire che emozioni stia provando, dato che il suo volto sembra mostrarle tutte. Lo vedo gettare ai miei piedi il bigliettino che ho scritto ieri. Dopo avermi fissato per qualche secondo, lo vedo stringere la mascella, per poi cominciare a fissare il suolo.
"Rainy Lake, 3.00 P.M." La carta è completamente accartocciata, come se avesse appallottolato il foglietto tra le mani più e più volte. Non oso immaginare cosa abbia pensato nel momento in cui ha collegato il tutto, ma di sicuro deve essere stato uno shock almeno tanto quanto lo è stato per me.
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Nient'altro che te
Teen FictionLuna, dopo la morte della sorella, cade in una spirale di tristezza che non le da nessuna tregua. La voglia di vivere la ha abbandonata e ormai non si ricorda più com'è essere veramente felice. A peggiorare le cose c'è un odio infondato da parte de...