Capitolo cinquantuno

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Nella mia testa sembra esserci un tornado, ed io sono lì, proprio a qualche centimetro da esso. Devo lottare con tutte le forze in mio possesso per non finirvi dentro, perché ho un assoluto bisogno di poter guardare la situazione da fuori, da una prospettiva esterna.

Dentro a quel vortice vi vedo tutte le informazioni che ho ottenuto, e la parte razionale è perfettamente mescolata alla parte emotiva, così da dare origine ad una confusione per niente facile da gestire. E infatti non riesco a gestirla, ma mi ci sto lasciando trasportare dentro, contro ogni mia volontà.

Mi sembra quasi di poter scorgervi al suo interno le immagini di tutto ciò che è successo fin'ora. Rivedo la stessa Anne della foto: un'adolescente con una vita normale, felice perché ha accanto a se il ragazzo che ama, e senza alcuna preoccupazione a gravarle sulle spalle. Poi vedo la donna di cui io conservo il ricordo: quella che si sfoga ogni notte contro un cuscino, con le lacrime impresse sulla pelle come se fossero marchi; quella che vuole apparire forte agli occhi del figlio ancora bambino, ma che dentro di sé è spaccata in tanti piccoli pezzetti minuscoli, ridotti a della semplice polvere che va disperdendosi nell'aria.

Riesco a scorgere anche Dean. Per prima compare una versione di lui decisamente diversa rispetto a quella dell'uomo che è ora: incurante delle proprie azioni, e per niente preoccupato di poter ferire qualcuno con le sue scelte. Poi mi sembra di scorgerlo durante tutti questi anni, quando io non ho mai potuto vederlo, perché lontano miglia e miglia da lui.

In questa visione ha lo sguardo perso, puntato in un punto qualsiasi; una felpa stretta tra le mani, mentre lascia che tutto il resto gli scivoli via. A lui sembra bastare solamente quella felpa che pare aver perso la sua padrona, semplicemente perché di lei non vi è rimasta più nessuna traccia.

Ed è vero che mia madre è cambiata, tanto quanto è vero che è cambiato anche lui. Ma io non sono bravo a dimenticare il passato. Io ci sono legato con una corda che sembra non avere una fine.

Non posso certo scordarmi di tutti quei giorni di sofferenza allo stato puro, di tutti quei giorni in cui dalla porta di casa ho visto entrare una donna consumata dalla sua stessa vita, quando, invece, si sarebbe meritata di essere felice come tutti gli altri. E non augurerei a nessuno di vedere la propria madre in quello stato, perché sarebbe una condanna troppo grande anche per chi il cuore ce l'ha di corindone.

Mi chiedo quanto ci abbia messo Dean a pentirsi di ciò che ha fatto, e se ha pensato anche solo una volta di mollare tutte le sue insicurezze per venire a cercarci. Mi piacerebbe poter credere di essere stato il suo primo pensiero al mattino almeno per una volta, ma non ho la certezza di nulla, purtroppo.

Vorrei poterlo accompagnare indietro nel tempo, per potergli far vedere la condizione che lui stesso ci ha imposto. Vorrei che capisse fino in fondo com'è stato quel periodo, perché so che non lo ha ancora capito, e non posso certo fargliene una colpa.

È così con tutto: se non ci sei dentro fino al collo, non puoi sapere cosa si prova.

Mi piacerebbe fargli assistere in prima persona a quei pianti e a quelle urla che ha sempre cercato di evitare, così da potergli dare il colpo di grazia. Ma, allo stesso tempo, vorrei dirgli che lo perdono e che sono pronto a ricominciare tutto da capo.

Com'è possibile che io mi sia ritrovato in tutto questo? Non avevo già abbastanza cose a cui pensare? Già abbastanza preoccupazioni ed un futuro complesso da pianificare? E, in quel futuro, dovrei forse includere anche lui?

So perfettamente che vuole lasciare a me l'ultima parola, esattamente come so che non si azzarderebbe a fare nulla senza il mio consenso, almeno non in questo momento. Non vuole fare nessun passo falso, non vuole dire nessuna parola di troppo, ed è più che giusto così.

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