Capitolo trentaquattro

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Lascio l'acqua scorrere lungo le dita, per poi chiudere le mani a coppa e lasciarne accumulare un po' all'interno.

Avvicino il viso al lavandino, e getto il liquido freddo su di esso.
Il gelo sulla pelle è incredibilmente fastidioso, sembra quasi che una miriade di aghi stia tentanto di infilzarmi però, grazie a questo gesto, predo un po' più di lucidità.

Tiro le mani su fino ai capelli, inumidendoli leggermente, per poi alzare lo sguardo e puntarlo nel riflesso nello specchio.

Non sembro neanche più io. Non mi riconosco. Quello che vedo è solamente un estraneo che si è impossessato della mia vita. 

Ho le guance scavate come non mai, e le occhiaie sono marcate, troppo marcate. Gli zigomi sembrano voler strappare la pelle per poter trovare una via di fuga. Lo sguardo è stanco, totalmente spento.

Nell'ultima settimana, l'unica cosa che ho ingerito è stato tabacco. Ciò che è successo mi ha portato via la fame.

Mi sento un morto vivente, con l'unico scopo di vagabondare per casa nei momenti in cui non sono costretto ad andare a lezione. 

Non riesco nemmeno a riflettere, ho come un blocco mentale che mi impedisce di andare avanti.

Mi infilo una maglietta buttata sulla vasca da giorni e mi allontano dal bagno, stanco di vedere quel riflesso che sembra appartenermi ben poco.

Mi sento debole per il fatto di dover ammettere la necessità di avere qualcuno accanto, qualcuno che mi aiuti a pensare a questa cosa più grande di me, e che mi aiuti ad andarmene lontano dal senso di smarrimento.

Parlarne con mia madre credo mi avrebbe potuto aiutare. 

Lei sa sempre cosa dire al momento giusto, è una che anche nei momenti difficili riesce sempre a fare la cosa migliore, per questo l'ho sempre presa come punto di riferimento, non che abbia avuto molta scelta... 

In questi giorni, però, non l'ho potuta vedere, dato che è via per un viaggio di specializzazione. Tornerà solo stasera, e posso solo aspettare che le lancette facciano il suo corso.

Mi lascio cadere davanti al camino acceso, appoggiando la schiena al tavolino che vi si trova davanti, e prendendomi le ginocchia nel cerchio delle braccia. 

Rimango a fissare il fuoco, pensando a tutto e a niente.

Se non l'avessi incontrata quel giorno, e non le fosse caduta l'ecografia, sarei mai venuto a conoscenza di tutto questo?  

Ormai ho perso il conto delle volte in cui mi sono posto questa domanda, e ad ognuna di esse ho avuto troppa paura per poter anche solo pensare ad una possibile risposta.

Ma, a farmi ancora più paura, è stato sentire parlare dell'aborto. 

Se non avesse cambiato idea all'ultimo, avrebbe potuto benissimo cancellare l'esistenza di quei bambini in un attimo, privandomi della remota possibilità di poter trascorrere del tempo con loro.

Ora come ora, mi è difficile anche fidarmi di lei. 

Quando l'ho avuta faccia a faccia faticavo a capire chi avessi davanti. Certo, l'aspetto era il suo, ma mai avrei creduto che la persona della quale mi sono innamorato potesse farmi questo. 

Non so cosa fare. 

Mai mi sono reso conto come ora dell'impotenza di un essere umano. In questi casi, non si può fare nulla, bisogna solo lasciare che il tempo faccia il suo corso, sperando che le cose vadino per il meglio.

Provo a proiettare la mente nel futuro, cercando di immaginare come sarà la mia vita tra un anno, o magari tra dieci. 

Non mi riesce facile pensare al fatto che diventerò padre, dato che non avevo neanche mai preso in considerazione l'idea.

Nient'altro che teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora