Questo è il punto di non ritorno.
Me ne sto seduta su questa panca di lamiera fredda, in attesa di mettere un punto a tutto ciò.
Ormai da venti minuti ho cominciato a torturarmi le mani, sfregandole tra di loro e affondando le unghie nei palmi, tentando in qualche modo di sfogare la tensione che mi attanaglia il fegato da giorni.
La pelle chiede pietà, un attimo di tregua, ed io non glielo concedo. Tutta la frustrazione che provo la sto incanalando in questi piccoli gesti, decisamente inutili nel concreto.
Erika e Mattia hanno deciso di accompagnarmi qui per potermi dare un po' di sostegno morale. Hanno provato a tranquillizzarmi con parole dolci e gesti d'affetto che avrebbero dovuto risultare rassicuranti, ma il senso di colpa già vivo in me li ha oscurati del tutto, facendomi rimbombare nella testa un unico pensiero crudele: "Stai per uccidere. Sei un'assassina."
Vorrei riuscire ad oscurare la mia mente, calandoci un velo -o direttamente del cemento armato- sopra, per poter estinguere queste atrocità. Questa, però, è solamente la cruda e sacrosanta verità: uccidere è ciò che sto per fare. Niente di più e niente di meno.
In questo momento, avrei bisogno di qualcosa di confortante, che sciolga almeno in parte i miei timori, ma questo posto non ha niente da offrirmi
La gente va avanti e indietro senza dire una parola. Tutti sono qui solo perché è strettamente necessario, perché credo che nessuno frequenterebbe l'ospedale di propria volontà, per piacere personale.
Ogni cosa è fredda e porta malinconia, davvero troppa. Mi sento incredibilmente oppressa da essa.
Pareti bianche, pavimenti bianchi, uomini e donne dalle facce impassibili, che indossano camici rigorosamente bianchi.
L'odore della scienza spietata misto a quello del disinfettante appesta l'aria.
Quasi tutti quelli che vengono qui, o almeno in quest'area dell'edificio, di certo non sprizzano gioia da tutti i pori, in fondo, ciò che ricevono sono solo brutte notizie.
Mi guardo attorno nella sala di attesa. C'è una ragazza che avrà sì e no sedici anni. Nel suo volto leggo la più totale indifferenza.
Ne sono certa, per quella lì, questa è una giornata come un'altra. Qualcosa nella sua vita è andato storto a causa di un attimo di distrazione e, come se niente fosse, ora si presenta qui per sistemare tutto: semplici scelte basate sul nulla più totale.
Quella accanto a lei deve essere la madre, totalmente assorta nell'intento di scrivere degli stupidi messaggi.
Solo io, se dovessi avere una figlia in una situazione del genere, sarei preoccupata almeno quanto lo dovrebbe essere lei? Evidentemente sì.
A due sedie di distanza da me c'è una donna alla quale non saprei dare un'età ben definita: il suo è uno di quei visi senza tempo, e potrebbe avere trent'anni come potrebbe avercene quaranta. È difficile dirlo.
È persa nei suoi pensieri e ha gli occhi lucidi, causati da un pianto che penso arriverà davvero molto presto.
Ha le mani completamente coperte dalle maniche logore di una giacca che sembra essere molto vecchia, e lo sguardo è fisso su di esse.
Vederla così mi intenerisce.
La osservo mentre si porta una mano al ventre e comincia a bisbigliare qualcosa, talmente a bassa voce da risultare totalmente incomprensibile. Le parole sono accompagnate da alcuni piccoli movimenti del capo.
Dopo poco si accorge del fatto che la sto guardando, così punta i suoi occhi scuri nei miei e mi rivolge un debole sorriso, che tento di ricambiare in qualche modo.
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Nient'altro che te
Teen FictionLuna, dopo la morte della sorella, cade in una spirale di tristezza che non le da nessuna tregua. La voglia di vivere la ha abbandonata e ormai non si ricorda più com'è essere veramente felice. A peggiorare le cose c'è un odio infondato da parte de...