Capitolo quattro

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Le forze mi hanno abbandonata. Sono stata totalmente prosciugata da quell'incubo che, puntualmente, mi si presenta ogni notte, in uno scenario della paura davvero troppo arduo per essere sconfitto.

Come di consueto, la mia mente ha partorito la sua immagine, e tutto ciò che ho visto è stata una bellissima ragazza che rideva, senza preoccupazioni, ignara di ciò che il destino aveva messo in serbo per lei. Pochi secondi dopo, però, quella che inizialmente si era presentata come una scena felice, si è trasformata nella cosa più atroce che degli occhi possano sopportare di vedere.

Al solo pensiero, sento le lacrime formarsi e bagnarmi le retine. Vogliono uscire, pretendono di uscire, non voglio che lo facciano. Mi passo le mani tremanti sulle palpebre, cercando di eliminare quelle sfuggite al mio controllo.

Non ne posso più di andare avanti così. Ho costantemente una morsa attorno allo stomaco, che si stringe sempre di più con il passare del tempo. 

Non appena mi calmo, mi alzo con cautela, appoggiando un piede dopo l'altro sul pavimento di marmo freddo; poi comincio a guardarmi attorno, quasi a voler controllare che tutto sia al posto giusto, verificando che ciò che mi è apparso nell'incubo sia solo tale: un incubo.

Mi preparo con tutta la calma possibile, dato che mi sono svegliata ben prima di quando avrei dovuto. Prendo coscienza piano piano, ancora frastornata dal sonno. Per aiutarmi ad uscire da questo stato di dormi-veglia, prendo una tazza di caffè nero, e subito dopo mi fiondo fuori di casa, lontano da quel posto, lontano dai ricordi.

Aspetto sul marciapiede l'arrivo di Erika, mentre mi perdo a guardare il cielo, ancora leggermente scuro per l'arrivo dell'autunno. 

Non devo aspettare molto, in appena qualche minuto vengo raggiunta dalla mia migliore amica che, non appena mi vede, si fionda tra le mie braccia. Lei ha sempre avuto questo potere: quello di trascinare via tutte le preoccupazioni grazie alla sua sola presenza. Poterla avere accanto ha già alleviato un po' quel peso sul petto, che accompagna le mie giornate.

«Allora, ieri che hai fatto?» le chiedo dopo un po', mentre ci incamminiamo verso la fermata.

«Mia madre mi ha trascinato a fare shopping con lei, ed è stato a dir poco raccapricciante!» dice con uno sguardo sofferente, mimando il gesto di portarsi un pugnale al cuore.

«Condoglianze» le rispondo io, con una debole risata.

«Tu invece che hai fatto? Il solito, ovvero startene appoggiata sul quel maledetto albero? È deprimente sai?» 

«Non è esattamente così che ho passato la giornata, in verità» dico con tono sereno, mentre mi ritrovo a sorridere involontariamente. 

«Ho la vaga sensazione che c'entri ancora quel ragazzo. Jamie, è così che si chiama, giusto?» chiede lei, facendomi un sorriso a trentadue denti.

«Sì, ho passato la giornata con lui. Non pensavo, ma mi ci trovo davvero bene» le rispondo, contenta almeno quanto lei.

«Lo immaginavo. Comunque, aspetta un attimo, ma non avevi detto che con lui c'era anche la sua ragazza? Non le ha dato fastidio?»  

«Jasmine se ne è andata ieri mattina, sua madre sta male, così mi è stato detto» le spiego, facendo un'alzata di spalle.

«Ah. Meglio no? Cioè, che se ne sia andata, intendo, non per il fatto di sua mamma...» mi risponde incerta.

«Sì, poi non è che mi piacesse un granché e, sinceramente, credo che la cosa sia reciproca» non posso fare a meno di affermare.

Nel frattempo mi accorgo che dall'altro lato della strada, sta passando un gatto, e da inguaribile "gattara" che sono, mi metto a inseguirlo, cercando di richiamarlo. 

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