Capitolo 19

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Daniele decise di non seguire Andrea, e lo fissò mentre lo stilista lasciava senza un motivo apparente lo studio. Lo vide allargarsi un po' il colletto del maglioncino, respirare a fatica, un pallore quasi malato sul volto. Ma non lo seguì, perché non era più compito suo. Perché Andrea, forse, stava reagendo male alla presenza di Pietro, stava di nuovo mettendo se stesso davanti a chiunque, stava ancora traendo conclusioni. O forse, semplicemente, voleva tornare a lavorare. Fare congetture non gli avrebbe fatto bene, quindi tornò a concentrarsi su Pietro, con quel suo fare pacato e rassicurante, sulle domande di Veronica, sempre concentrata su Vittorio, su Tocco, che russava in modo rumoroso.

«Vittorio è andato dal commercialista, sta arrivando» spiegò Daniele, rassicurando Veronica che, quasi, sembrò sospirare sollevata. Non ne avevano mai parlato, ma a Daniele non erano sfuggiti gli occhi della ragazza sempre puntati sul suo amico, sebbene lei provasse continuamente a fingere indifferenza.

«No, tranquillo, ho perso un paio di misure e devo riprendergliele. Niente di urgente, comunque» minimizzò lei. Tramet annuì e sentì la porta principale sbattere. Era Andrea, che tornava mascherandosi dietro l'indifferenza?

No, ovviamente. Era Vittorio, con qualche foglio stropicciato in una mano, una nuova chitarra nell'altra e nessun sorriso in volto. Era strano vederlo serio, sembrava preoccupato. Lo guardò e gli fece cenno di raggiungerlo nella sala registrazione, senza dirgli nemmeno una parola. Si concentrò, piuttosto, su Veronica e Pietro. Salutò cordialmente la ragazza, le accarezzò una guancia con un gesto spontaneo e involontario, passò poi a Tocco e, infine, squadrò Pietro.

«Ciao Pie', mica avevo capito che eri te» mugugnò, sorridendo appena al saluto ricambiato del napoletano, che si sistemò meglio gli occhiali fingendo di capire le parole di Vittorio. Daniele si scusò col professore e seguì l'amico e collega nella piccola saletta.

Quando Ilo aveva ereditato quel casale da una vecchia zia, lì dentro non c'era nulla. Non lo studio, non gli strumenti, niente di niente. Era solo una casa vecchia fuori Roma, in piena campagna. Il manager l'aveva vista e gli si erano illuminati gli occhi: il posto perfetto per loro. I lavori se li erano fatti quasi totalmente da soli. Non c'era molto da fare, comunque. La casa era in buone condizioni e il grosso era trasformare una parte di casa in studio.

Ci avevano messo impegno, cuore e anche qualche soldo ed era diventata casa loro. Ilo ci viveva proprio, ormai. Daniele e Vittorio, invece, avevano preferito la città, rifugiandosi tra quelle quattro mura solo per fare musica.

Vittorio chiuse la porta della saletta, lasciando fuori le chiacchiere superficiali dei due ospiti e, soprattutto, qualsiasi orecchio indiscreto. Daniele iniziava a preoccuparsi, ma non gli mise fretta. Aspettò che l'amico finisse di rollare una canna, accendendola e facendo il primo tiro.

«Allora? Che è?» chiese alla fine, impaziente.

«Niente, tranquillo. Ma c'era Andrea fuori... m'è sembrato strano»

«In che senso, strano?»

«Che ne so, Danie'. Stava tutto piegato 'n due, come per vomitare... era bianco come 'n cadavere e boh, forse piangeva...»

«Che vuoi dirmi, Vitto?»

Vittorio sospirò, giocando con la canna tra le labbra. Lo squadrò e Daniele si sentì in soggezione per quegli occhi addosso.

«Sei sicuro che sia la strada giusta?»

«Siamo amici... o, almeno, ci stiamo provando. Abbiamo raggiunto una tregua, diciamo. E io non posso rimanere fermo a dieci anni fa, non posso rimanere fermo altri dieci anni. Andrea sta con un altro, non mi vuole, che dovrei fare?» Forse sembrò duro, più di quanto voleva, perché Vittorio alzò le mani a mo' di resa.

Pezzi imperfetti // PrismaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora