24.

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Capitolo ventiquattro

Era notte fonda,le tre di mattina circa, sedevo sul letto con un libro tra le mani e le cuffie nelle orecchie.Tutti si erano riuniti nel bar difronte l'hotel.
Andreas era riuscito a tener ben saldo il suo posto all'interno della scuola,ed Ale,sotto richiesta della Peparini, aveva comunque guadagnato un banco.

Sentì il materasso abbassarsi e mi voltai di scatto,incrociando gli occhi stanchi di Andreas.Il mio sguardo cadde sul suo petto nudo,e quasi mi sentì avvampare.I suoi occhi inaridivano di una strana luce,le sue guance avevano acquisito un colorito rossastro.

«Andrè,cosa succede?» Chiesi,posando sia il cellulare che il nuovo romanzo di John Green.
Mi fissò senza proferir parola e subito dopo si stese accanto a me.

«Perché tu e Ale vi siete abbracciati così amorevolmente?»Mi domandò, portandosi le mani dietro la nuca e guardando il soffitto.

Arricciai il naso,trattenendo un sorrisetto divertito.«È un mio amico.»

«Oh Jen,anche io lo sono.»Parlò con ribrezzo,senza volgere mai lo sguardo verso di me.Sentì il suo alito più pesante del solito,e mi chiesi se dietro tutta quella schiettezza ci fosse qualche amaro ripensamento.

«Hai bevuto?»Domandai,certa che nel suo corpo circolasse dell'alcool.Era quello a renderlo così frastornato.

«Due bicchieri,sono ancora sobrio.»Mi rispose,con una nota di spossatezza nella voce.Scosse il capo,e poi sorrise.

«Non si direbbe!»Borbottai,cercando di tirarmi su a sedere.Non sì scomodò minimamente per aiutarmi.

«Ci vuole molto più di due moijtos per farmi perdere il lume della ragione.»Mi disse voltandosi verso di me e strizzandomi l'occhio.

«Sono le tre di mattina e sei nella mia camera da letto mezzo spogliato,come lo definisci questo?»Gli chiesi, morendomi l'interno guancia.

«Aspettavi qualcun altro?»Domandò a sua volta,irritato,detestavo quando mi rispondevano con un altra domanda.

«Dio,che lunatico che sei.»Sbottai, rigirandomi a supino,per quanto là gamba me lo permettesse,al lato apposto al suo.«Buonanotte.»

Si udì nell'aria la sua risata amara e carica d'odio.Provai a chiudere gli occhi,ma agì di impulso e mi voltai, guardandolo trucida.

«Posso capire che ti prende?»Sbraitai.

«Quel tipo lì,non mi piace.»Ammise, guardandomi negli occhi.

«Non lo conosci neanche.»Parlai piano, cercando di non appiccare il fuoco alla sua ira.

«Mi basta vedere come posa gli occhi su di te.»Controbatté,alzandosi e passandosi una mano tra i capelli.«Io domani mattina torno a casa per il week-end.»

«Okay,divertiti.»Mi accovacciai di nuovo,sentendo già la nostalgia accrescere in me.Senti il suono stropicciato di un foglio,e subito dopo la porta sbattere.

Mi voltai e trovai sul letto un foglio di quaderno,con su scritto sopra: Per Jen.
Sospirai e me la rigirai tra le mani,non sapendo che fare:leggere o non leggere?
Mi intimoriva un po' l'idea di entrare nei suoi sentimenti,mi intimoriva entrarci e non uscire più.Però, nonostante tutto,l'aprì e vidi scritto giusto cinque righe:calligrafia attenta, inchiostro nero.

Il profumo che indossi,
la pelle di seta,i capelli mossi,
è un misto di come tu sei.
O come, più o meno, vorrei che tu fossi.

Mi abbandonai ad un lungo momento di sconforto,crollando di schiena sul letto disfatto.
Credevo,dopo la puntata di venerdì, che tra noi fosse cambiato qualcosa.
Oggi,durante le ultime prove ci siamo evitati tutto il tempo,ho sentito i suoi sguardi sul mio collo e nei miei occhi,ed io curiosa,dal divano,fissavo i suoi movimenti.L'abisso del suo sguardo l'ho pescato quasi ogni volta,e come solito,distoglievamo quel contatto visivo.A volte prima io,a volte prima lui, dipendeva dall'orgoglio momentaneo.
Avevo evitato di uscire,mi ero rintanata nella mia incomprensione,ma lui aveva comunque forzato la serratura.
È come se fossimo amanti segreti: passionali e stralunati.

«Guarda che mi tocca fare.»Imprecai silenziosamente,scostando riluttante le coperte dal mio corpo.
Infilai le ciabatte e afferrai saldamente le stampelle,alzandomi.
Avanzai lentamente verso la porta, senza badare al mio abbigliamento indegno:un pantalone della tuta ed una canotta di tre taglie più piccola.

Aprì la porta,rischiando anche di cadere,e i miei pensieri si ammutolirono quando vidi seduto a terra Andreas.Sembrava stesse sul punto di piangere,e mi si strinse il cuore nel vederlo così impotente.

«Sei rimasto qui fuori tutto questo tempo?»Chiesi,poggiandomi allo stipite della porta ancora aperta.

«Mi sono detto: 'conto fino a cento,poi vado via'.»Borbottò,sbadigliando.

«E a quanto sei arrivato?»Chiesi confusa,erano passati più di quindici minuti.

«Duemila-cento,ma avrei continuato.» Ammise,facendomi scappare un tenero sorriso.«Michele è appena passato e mi ha definito un deficiente,e mi sento tale.»

«Non lo sei,Andrè.»Lo rassicurai,poi socchiusi gli occhi e ripresi a parlare.«Anzi,a me sembri così dolce.»

Si alzò di scatto e si avvicinò spavaldamente verso di me, afferrandomi la vita con un braccio.Mi guardò negli occhi e mi sembrò di tornar a soffrire d'asma come alle elementari.

«No,non sono dolce,sono egoista.Farò scelte che ti faranno del male,ma non riesco ad andar via da te.»Sputò fuori, portando una mano al lato della mia testa.

«Quali scelte?»Domandai confusa.

«Questa.»Mi sussurrò,ed accadde tutto in pochi minuti: prese tra i suoi denti il mio labbro inferiore,mordendolo e succhiandolo.Portai le mani tra i suoi capelli,tirandoglieli per il dolore.

Si staccò dopo poco,e senti l'amaro sapore del sangue sulle mie labbra.Feci scivolare una mano lungo la sua faccia, e gli accarezzai la mascella contratta, facendolo rilassare.
Fui io a baciarlo.
Chiese con la lingua accesso alla mia bocca,e inevitabilmente l'aprì,lasciando che mi divorasse.Le nostre lingue si rincorrevano ed assaporavano quel momento tanto desiderato.
Aveva un buon sapore.

Ero incastrata tra la sua mano ed il pilastro della porta,il suo corpo aderiva perfettamente al mio.Alzò di poco il bordo della mia maglietta,senza staccare la bocca dalla mia.
Mi accarezzò la schiena e poi fece scendere la mano fino ai miei glutei, palpandoli.
Le mie mani cercarono,invece,di sbottonare la sua camicia bianca.

Mi prese di peso e mi trascinò nella stanza,chiudendo la porta alle sue spalle con un piede.«Fa piano.»Pregai, quando provò ad appoggiarmi sul letto.

«Fidati di me.»Sussurrò voglioso, sdraiandosi su si me.

Un senso di panico mi assalì,pensando che Benedetta e Chiara sarebbero potute arrivare a momenti.Cosi,con tutta la mia buona volontà,lo allontanai di poco.

«Potrebbe venire qualcuno.»Gli dissi, cercando di placare il mio corpo in fribillazione.

«Hai ragione.»Mi assecondò, baciandomi la fronte ed allontanandosi per stendersi accanto a me.

«Guarda che ti ho fatto.»Gli feci notare i graffi sul suo petto,e Andreas mi sorrise,accarezzandomi i capelli.

«Domani me ne ricorderò allora.»

«Sei sbronzo vero?»Gli dissi, accarezzando i suoi capelli.

«Può darsi,ma tu sei comunque stupenda.»Si affrettò a dire,posando di nuovo le sue labbra sulle mie.

Romeo •Andreas Muller•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora