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Capitolo trentanove

'Oscurità'
L'oscurità è sempre stato un concetto buio per me,privo di luci,privo di emozioni.Definivo oscuro colui capace di far del male,colui che si rintanava in quella piccola cantina e progettava uno schema matematico per distruggere.

Oggi però,mentre Andreas mi copriva gli occhi con una mano e con l'altra teneva il mio fianco,avevo rivalutato questa parola: l'oscurità,talvolta,è solo un tunnel lungo che ti porta poi alla meritata brezza della libertà,al calore dei raggi del sole.

Tutto era luce,iniziando dal fenomeno scientifico,fino ad arrivare al suo sorriso.Mi piaceva mettere in evidenza che era il suo,poiché quando si trattava di lui,la luce era più intensa;sembrava  perforanti.
Andreas quando sorrideva ti chiedeva il permesso per entrare nella tua di oscurità.E solo un pazzo può concedere a qualcuno di risvegliare i tuoi mostri.

«Posso aprire gli occhi?» Chiesi, quando notai che mi aveva attirata a se,al fine di interrompere i miei passi.

«Aprili.»Mi sussurrò all'orecchio,ed una scia di brividi scivolò lungo la mia schiena coperta dal suo giubbotto di pelle.

Titubante e curiosa aprì le palpebre:era una stanza accogliente,con i muri abbelliti da innumerevoli graffiti di svariate sfumature.Un divanetto sul lato destro ed una abat-jour che filtrava un po' di luce.Camminai spaesata verso il tavolo,preparato a lume di candela,e sfiorai con i polpastrelli la tovaglia bianca.Era un rifugio,magari il nostro.

«Ti piace?»Mi chiese speranzoso,ed io mi voltai a guardarlo,era in tema con i colori che vivevano sulle pareti:t-shirt rossa,jeans nero e le sue immancabili *Cult.

«Andreas è pazzesco.»Confabulai, mordendomi l'interno guancia.Non era solo pazzesco,era molto di più,ma in quel momento sentivo le emozioni prendere il sopravvento.

«Quando ero piccolo i miei genitori decisero di prendersi un periodo di pausa.Mia madre era incinta di mio fratello ed io avevo all'incirca quattro anni.» Mi raccontò,sedendosi su uno sgabello a fianco alla cucina ad isola.

«Tuo fratello Daniel?» Chiesi, sedendomi anche io,un po' più distante da lui.

«No,parlo di Alessio,è lui il più piccolo. Daniel invece è il maggiore.»Mi disse sorridendo,poi vagò con lo sguardo per la casa. «Mio padre decise di andar via per un po',ed io ricordo che litigai con mamma perché non voleva comprarmi i modellini degli aeroplani.Sta di fatto che mi riempi da solo lo zainetto e andai con mio padre.Portai con me solo giocattoli,e mi dovetti subire anche la sua ramanzina. Venimmo qui,in questa casa,io ero emozionato, lui invece più afflitto.»

Sorrisi dolcemente immaginandomi un piccolo Andreas collezionare aeroplani, lui sembro accorgersene e corrugò la fronte. «Andare via di casa a quattro anni?Che bullo.»

Scoppiò a ridere anche lui,annuendo nostalgico.«Si,lo ero,anche se in realtà piangevo ogni notte.Io e mio padre passammo circa due settimane qui dentro,poi mia madre lo chiamò.Non ricordo molto di quel giorno,so solo che andammo via ed al mio ritorno a casa Daniel era disteso sul letto.Non era lo stesso, sembrava essere privo di forze, privo di vita.»

Si asciugò con una mano una lacrima ed a me si strinse il cuore.Talvolta è stesso il ricordo a far del male,alle volte invece è il terrore di mostrare le proprie debolezze.

«Vieni qui.»Mi ordinò dolcemente,mi alzai e lo raggiunsi,posizionandomi tra le sue gambe aperte.Mi cinse la vita ed io portai le mie braccia intorno al suo collo.Lo strinsi a me e feci ravvicinare i nostri corpi.

«Te la senti di continuare?»Gli chiesi titubante,e lui annuì sorridendo.

«Pensavo che le sue condizioni fossero dettate dal mio allontanamento,avevo quattro anni,ero ingenuo e non riuscì più a reggere quel peso sulle spalle. Credo di esser cresciuto troppo presto.»Mi disse,ed io gli accarezzai gli zigomi,sapevo cosa volesse dire.

«Daniel ora come sta?»

«Lui non mi sente,io parlo ma lui è assente.Ha però 'sto sogno della danza, mi dice sempre: Tu devi ballare,tu devi vincere.Lui è sicuro di me,ed io sono sicuro che lui ce soffre a di ste cose.»

«Andrè,ma non dire scemenze.Se lui affida a te tutti i suoi sogni tu devi esser ancora più sicuro,ancora più convinto.
Ora con Luce devi cercare di far cambiare idea a tutti,in primis te.Tu sei forte,sei bravo,sei il vincitore.»Gli dissi sicura,e lui mi guardo allucinato.

Poggiò di scatto le sue labbra sulle mie ed affondò le dita tra la mia pelle, stringendomi possessivamente i glutei. Mi sollevò di poco ed io portai le gambe intorno al suo bacino.Mi adagiò cautamente sul tavolo e infilò una mano sotto la mia felpa, sbottonandomi il reggiseno in pizzo.

«E se viene qualcuno?»Riuscì a dire in preda all'estasi,lo volevo ancor di più.

«Non verrà nessuno.»Mi disse di rimando,ed io annuì,unendo di nuovo le nostre bocche.

Aveva un retrogusto amaro,sapeva quasi di menta e tabacco.Quando mi baciava era un trasporto temporaneo nell'isola del piacere,riusciva a sedurmi con uno sguardo.

Mi sfilò la maglia ed io mi ritrovai nuda-dal collo all'ombelico-dinanzi ai suoi occhi.Si leccò le labbra ed io abbassai il capo, imbarazzata. «Sei così bella,che ho paura di toccarti,di farti male.»

Spalancai la bocca alle sue parole, riusciva a rendere qualsiasi frase una vera e propria dichiarazione.Presi titubante le sue mani e le portai ai lati del mio seno.«Tu solo puoi toccarmi.»

«Oh Jen,sei la cosa più fragile che mi sia capitata tra le mani.»

Gli sorrisi e mi concessi a lui.Quella notte, avvolti nel caldo piumone di lana, non mi ero sentita fragile:l'ho spogliato,l'ho graffiato ed abbiamo fatto l'amore.Quasi come se fosse l'ultima volta,aveva il sapore di un addio prematuro.Avevo paura perché quella notte,nella sua purezza,aveva portato in me lo sconforto.

«Resta con me.»Gli sussurrai,a fiato corto,poggiandomi poi sul suo letto nudo.

Mi guardò negli occhi ed annuì, ero sicura,lui era li.Dormimmo abbracciati per un'oretta.Era in un certo qual modo anche meglio che far l'amore.

*Cult:sono gli stivaletti che indossa Andreas neri.

Romeo •Andreas Muller•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora