Capitolo LXXXIV - Morte

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La pioggia cadeva leggera. Infinitesimali gocce garrivano al vento come branchi di pesci in fuga da un predatore.
Non un suono. Non un picchiettio, neppure accennato. La pioggia posava silenziosa il suo luminoso manto.
Anche il cielo piangeva.
Sulle vetrate, la propria figura riflessa era arricchita da ulteriori lacrime atmosferiche.
Non che ce ne fosse bisogno. Quelle di Alex erano già copiose. Da giorni.
Era colpa sua, si diceva. Doveva fare qualcosa, si ripeteva.
Ma il passato, come si è capito, è solo un dipinto indelebile sulla tela della memoria.
Le mani erano fasciate. Quella vetrata del pronto soccorso era più dura del previsto.
I suoni, le voci, le luci. Odiava tutto di quel posto.
L'odore...
Quello schifoso odore di disinfettante e... morte.
La barba lunga di svariati giorni e fuori non smetteva un attimo di piovere.
Non voleva lasciarla. Avrebbe dovuto prima o poi. Ma non in quel momento. Sarebbe rimasto lì nonostante quella visione raccapricciante che ogni istante rinfrescata le sue colpe e le sue mancanze.
Era così livida in viso. Gli occhi chiusi. Sul corpo ferite tumefatte. Cicatrici, seppur coperte, sapeva presenti lungo il suo corpo perfetto. Spezzato.
Ed ancora la colpa, ormai diventata la sua compagna di stanza con cui alternarsi il posto sull'unica poltrona a disposizione, ormai trono di spine. Merendine e succhi di frutta la dieta di Alex, seppur poco riuscisse a trattenere il suo stomaco.
Un nugolo di fili e tubi spuntava da ogni parte di quel corpo, unico appiglio di salvezza e speranza di risveglio.
Erano passati tutti. Davvero tutti. Leonardo gli aveva dato il cambio un paio di giorni. Era giusto così.
Poco si poteva fare se non riempire la stanza di fiori che a malapena coprivano quell'olezzo di morte onnipresente.
La luce degli strumenti di monitoraggio era il suo miraggio notturno, il fuoco da tener vivo bruciando ulteriore speranza.
Ma ogni suono la portava più lontana da lui.
Senza calcolare le fratture alle ossa, il fegato era andato, il polmone perforato ma il cuore aveva retto. Prima di fermarsi.
Due lunghi minuti. Tanto la rianimazione era durata. Contro ogni dettame i medici avevano continuato imperterriti. Fu durate quei secondi che Alex si fratturò due falangi riuscendo ad incrinare il vetro che li divideva.
Forse lo sentì e tornò alla vita.
L'intervento durò circa cinque ore. Anzi, gli interventi. Dovettero asportarle il fegato e trapiantarne uno sano, o quanto meno intero.
Le costole, nel rompersi, avevano perforato il polmone sinistro, sfiorandole il cuore e facendole perdere all'incirca tutto il sangue che aveva in corpo.
"Sei stato bravo ragazzo! Hai tamponato le ferite, non l'hai spostata e ci hai chiamato subito! Se non fosse stato per te sarebbe morta!". Così lo avevano applaudito i chirurghi dopo l'intervento.
Ma la soddisfazione non era certo contemplata. Per quanti complimenti potessero rivolgervi, la verità era altrove.
Se solo glielo avessi detto, ora non dovrebbe lottare per la vita.
In parte era vero. Ma il futuro, si sa, è imperscurabile.
Alex avvicinò la poltrona al letto su cui Sofia era distesa.
Come ogni mattina, pomeriggio e notte egli le parlava sperando la sua voce le fosse da guida, da faro ovunque lei si trovasse. Le strinse la fredda mano.
<< Sofy... ascoltami. Non te ne andare ti prego. So che ho sbagliato. So che sbaglierò. Ma ti supplico, dammi la possibilità di sbagliare di nuovo insieme perché solo insieme, solo vicino alla tua perfezione, i miei errori diventano meno sbagliati ed io migliore. Non abbandonarmi... morirei con te!>>

© G.

Angolo dell'autore:
Commentate, se vi va, consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!


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