L' arrivo a Capitol City

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Alla fine, sopraffatto dalle lacrime e dalla stanchezza, mi sono addormentato profondamente e sono riuscito a dormire senza avere visite dai soliti incubi.
Ma l'incubo viene a trovarmi ora che mi sveglio: oggi si parte per Capitol City rammento a me stesso.
Non voglio assolutamente andarci; non voglio rischiare ancora una volta di avere un attacco di rabbia e farci rimettere persone che non hanno fatto assolutamente nulla, come ad esempio Finnick e Gale l'altra volta al refettorio.
Mi vergogno.
Dentro di me, si fanno spazio le parole di Delly, in riferimento al ragazzo del Distretto 4: Lui ti ha salvato la vita, Peeta.
Ed è vero... cavolo, se è vero! Mi ha letteralmente rimesso in moto il cuore.
E pure Gale mi ha salvato: mi ha salvato da Capitol City, da Gradis, dalla tortura, da tutto.
L'unico modo in cui sono riuscito a ripagarli è stato metterli in imbarazzo e farli arrabbiare.

Mi vergogno.

Oggi ho l'incontro con lo psicologo, o come dice Johanna, con lo strizzacervelli. Non so cosa mi dirà per rassicurarmi, per convincermi ad andare a Capitol City e per evitare attacchi di rabbia. Johan me lo ha detto chiaro e tondo: dipenderà dal momento e dalle emozioni che proverò. Lo psicologo non farà niente, sprecherà fiato e basta.

Sento la porta aprirsi ed entra Leyla con il vassoio della colazione in mano.
" Buongiorno Peeta!" accompagna le parole con un sorriso.
" Buongiorno" dico con un sorriso fatto solo per educazione.
" Ti ho portato un cornetto e un cappuccino. Tieni." mi porge il vassoio.
Mi gusto lentamente la bevanda.
" Ma Johan? Viene sempre lui a portarmi la colazione... gli è successo qualcosa? " chiedo un po' preoccupato.
" Oh, no, tranquillo, stava solo visitando un paziente che non è stato tanto bene questa notte. Dovrebbe essere qui a momenti." mi rassicura.
" Mmmh okay." rispondo.
Addento il cornetto, facendo esplodere dentro di me il ripieno al cioccolato.
" Era da un po' di tempo che non ci vedevamo... precisamente da quando ho fatto la torta per Finnick ed Annie." dico io, giusto per non far cadere un silenzio imbarazzante.
" Sì, è vero."
Mi sembra passata un'eternità.

Entra Johan.
" Ciao Peeta! Ciao Leyla!" ci saluta allegramente.
" Hai dormito profondamente stavolta! Stanotte ti abbiamo messo un pigiama per farti stare più comodo e non ti sei accorto di nulla!" continua lui.
Abbasso lo sguardo e noto per la prima volta che non indosso più la tuta grigio smorto dell'allenamento.
" Ah, è vero!" rispondo.
" Ehm, io vi lascio soli... credo che dobbiate parlare ... ciao!" dice Leyla accomiatandosi.
Quando si richiude la porta dietro di sé, il dottore mi guarda grave.
" Peeta, ti devo dire una cosa. " annuncia con lo sguardo basso.
" Dimmi. "
Sospiro, cercando di prepararmi a quello che sta per dire, anche se non ne ho la minima idea di cosa possa essere.
" Innanzitutto, mi dispiace, ragazzo. Mi dispiace per tutto quello che ti è successo, per tutto quello che hai passato. E mi dispiace pure se magari a volte non ho fatto bene il mio lavoro. Oggi pomeriggio partirai alla volta di Capitol City e sarai lì per la sera. Il fatto è, Peeta, che la cura non è finita del tutto. Dobbiamo ancora correggere vari ricordi e c'è il problema degli accessi di rabbia. Se tu non sei qui, non possiamo vedere come reagisci agli stimoli e di conseguenza non possiamo più aggiornare e correggere la cura. Fra pochissimo avrai l'appuntamento con lo psicologo che ti ha assegnato la Presidente in persona,che ti darà nozioni per farti evitare di fare pazzie a causa della tua rabbia che può esplodere senza preavviso. Sarò franco; lo psicologo non può fare nulla. Non ti può dare consigli. Nessuno può fare niente in questo caso. L'unica cosa che potevamo terminare era la correzione dei ricordi ma tu fra poche ore sarai su un hovercraft, da solo, totalmente in balia delle situazioni e delle emozioni. Ho cercato di dirgli che non ti può dare consigli ma lui ha insistito nell'incontrarti. Non ho potuto fare di più, Peeta. Scusami."

Lacrime scendono sul mio volto, solcando le mie guance e bagnandomi il colletto della maglietta.
Johan è l'unica persona che mi vuole veramente bene. Sto piangendo per la sua sincerità, per il suo affetto.
Alzo lo sguardo ed incontro i suoi occhi.
Non sta piangendo ma i suoi occhi sono lucidi.
Tira fuori la chiavetta e mi slaccia le cinghie.
Mi alzo in piedi e spontaneamente lo abbraccio. Lui ricambia con una stretta potente. Sento le sue mani sulla mia schiena che mi danno delle leggere pacche.
" Ho visto i tuoi hunger games. Mi hanno detto tutto quello che hai passato. Mi dispiace Peeta. " dice stringendomi forte.
Continuo a stare avvinghiato a lui.
" Io non ho figli, ma provo un affetto per te Peeta come quello di un padre." scoppia in un singhiozzo.
Le lacrime continuano a scendere copiose dai miei occhi.
" Mi dispiace. Mi dispiace, Peeta. " continua a ripetere lui.
Non riesco a rispondere niente, perchè non so veramente cosa dire.
Mi sento a pezzi.
Ci sciogliamo dall' abbraccio.
" Ora dobbiamo andare. Devi andare." dice lui tirando su con il naso.
" Sì." rispondo.
Mi da un bacio sulla fronte e mettendomi le mani sulle spalle mi fa:
" Ti voglio bene Peeta. Buona fortuna."
Mi fa mettere la tuta che indosserò a Capitol e poi mi accompagna dallo psicologo.

La chiacchierata con lo strizzacervelli è stata deprimente, anche perchè ha parlato da solo. Non ho risposto a nessuna delle sue domande. Nemmeno una. Alcune volte non lo ascoltavo nemmeno. Continuava a ripetermi che devo dare sfogo alle mie emozioni, non contenerle. Dire tutto quello che penso, assolutamente tutto. Anche se è brutto. Non devo mettere limiti.
Johan ha detto che lui non avrebbe risolto nulla ed è così. Non so se mi verranno attacchi di rabbia, spero solo che in quel momento non saremo in missione o che non avrò gente a cui tengo accanto a me. Bisogna solo sperare.

Siamo appena partiti con l'hovercraft e vicino a me ci sono le due guardie. Sono sopraffatto dalle emozioni della giornata e voglio essere in forza per quando scenderò sul " campo di battaglia " così mi concedo un pisolino.

Quando arriviamo, mi svegliano e mi guidano fino ad un treno. Quando saliamo, non ci fanno nemmeno sedere poichè il viaggio durerà pochi minuti. Mi allacciano un fucile alla cinghia della spalla e mi stampano il numero 451 sul dorso della mano.
Quando arriviamo, mi fanno scendere ma con me non viene nessuno. Il treno torna indietro. Nessun sorvegliante. Nessuna manetta. Cammino verso un gruppo di tende con sopra scritto il numero della mia squadra. Tutti mi squadrano; tutti sono stupiti. Un soldato con sul petto scritto Boggs mi strappa il fucile dalla spalla e se ne va a fare una telefonata.
So già chi chiamerà: la Coin.
Dopotutto, chi vuole uno squilibrato come compagno in guerra?
Comunque sia, so già che la Presidente mi farà rimanere qui così parlo subito:
" Non servirà. La presidente in persona ha stabilito la mia destinazione. Ha deciso che i pass-pro andavano un po'... scaldati."

Sono a Capitol City. E appartengo alla squadra 451.

Spazio autrice🌼
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-Azzurra

Hunger Games: Il Canto della Rivolta visto da Peeta. #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora